La mente umana è spesso divisa tra opposti: bene e male, piacere e dolore, io e gli altri. Questa divisione genera sofferenza, perché ci fa sentire separati, insoddisfatti e confusi. Ma esiste un modo per superare il dualismo e ritrovare l’unità con noi stessi e con il mondo? La meditazione ci offre una via d’uscita, insegnandoci a osservare la realtà senza giudizio, senza attaccamento e senza paura. In questo post, il maestro buddhista Chagdud Tulku ci spiega come la meditazione possa liberarci dalla sofferenza e farci scoprire la nostra vera natura. Buona lettura!
«Per capire come sorge la sofferenza, praticate l’osservazione della mente. Iniziate lasciando semplicemente che si rilassi. Senza pensare al passato o al futuro, senza speranze o paure riguardo a questo o quello, lasciatela riposare comodamente, aperta e naturale.
In questo spazio della mente non c’è nessun problema, nessuna sofferenza.
Poi qualcosa, un’immagine, un suono, un odore, cattura la vostra attenzione. La mente si divide in interno ed esterno, sé e altro, soggetto e oggetto. Nella semplice percezione, non ci sono ancora problemi.
Ma quando vi concentrate sull’oggetto notate se è grande o piccolo, bianco o nero, quadrato o rotondo; poi esprimete un giudizio, per esempio se è bello o brutto.
In seguito al giudizio, reagite all’oggetto: decidete che vi piace o non vi piace. E qui sorge il problema, perché “mi piace” porta a “lo voglio”. Allo stesso modo, “non mi piace” porta a “non lo voglio”. Se una cosa ci piace la vogliamo, e se non possiamo averla soffriamo. Se la vogliamo, la otteniamo e la perdiamo, soffriamo. Se non la vogliamo ma non riusciamo a evitarla, di nuovo soffriamo. La sofferenza sembra provocata dall’oggetto del desiderio o dell’avversione, ma in realtà non è così: nasce perché la mente si scinde nel dualismo oggetto-soggetto e rimane coinvolta nel volere o non volere qualcosa.»
– Chagdud Tulku –
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– Chagdud Tulku Rinpoche – Wikipedia
Chagdud Tulku nacque nel 1930 nel Kham, una regione del Tibet orientale che si distingue per il carattere focoso e indomito dei suoi figli, da Delog Dawa Drolma, una delle più rinomate donne-lama tibetane del secolo. Gli straordinarì poteri visionari evidenti in lui fin da bambino, insieme al severo addestramento riservato ai tulku, ne hanno fatto il detentorc di molti insegnamenti appartenenti a varie scuole vajrayana. Sedicesima incarnazione del fondatore del Chagdud Gonpa, un monastero che risale al 1131 ed è uno dei pochi sopravvissuti all’invasione della Cina comunista, nel 1959 fu costretto all’esilio e, nei successivi vent’anni, ha servito la comunità tibetana in India e in Nepal come lama e medico. Nel 1979 si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha fondato la prima sede occidentale del Chagdud Gonpa.