Quando l’equanimità è uno degli effetti – una conseguenza – della meditazione, non sarà un atteggiamento aprioristico determinato da scelte di ordine etico, ma il risultato di una mente equilibrata e relativamente distaccata, ossia di una mente che non si coinvolge a ogni piè sospinto perdendo di vista se stessa – l’essenza che comunque sottende –, che non s’identifica oltremisura sul nulla-tutto di un’esclusiva dimensione soggettiva. L’equanimità, nella nostra ottica, è l’apogeo della compassione. Seguono alcune sagge considerazioni di Sharon Salzberg che riporta altresì un’antica poesia cinese…
«La forza dell’equanimità (obiettività, imparzialità) deriva da una combinazione di discernimento e fiducia. Si basa sulla comprensione che il conflitto e la frustrazione che sentiamo perché non possiamo controllare le cose non derivano da una nostra presunta incapacità a controllare, ma piuttosto dal fatto che stiamo tentando di controllare l’incontrollabile. Abbiamo tanto buon senso da non tentare di impedire alle stagioni di cambiare o alla marea di salire. Dopo l’autunno viene l’inverno; può non piacerci, ma abbiamo fiducia, poiché capiamo e accettiamo il suo posto in un ciclo più ampio, in un disegno più grande. Riusciamo ad avere lo stesso atteggiamento equilibrato con i cicli e il flusso delle esperienze della nostra vita, piacevoli, spiacevoli o neutre?
Una poesia cinese esprime la sostanza di questa fiducia e comprensione:
Diecimila fiori in primavera,
La luna in autunno,
Una fresca brezza in estate, La neve in inverno:
Se la tua mente non è annebbiata
Da cose superflue,
Questa è la miglior stagione della tua vita.
Percepire le cose come sono, vedere il mutare della natura, l’impermanenza, il flusso costante di eventi piacevoli e dolorosi fuori dal nostro controllo: questa è la libertà.»
Da: Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia
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