Gli approcci alla meditazione sono molteplici. Taluni meditanti, soprattutto i principianti o quelli esordienti, credono che la pratica sia limitata esclusivamente al frangente specifico durante cui ci si raccoglie consapevolmente, ad esempio sulla postura – o sull’andirivieni spontaneo del proprio respiro –. Hanno appreso che, in linea di massima, bisognerebbe ignorare comunque ciò che accade al di là del loro orizzonte percettivo più immediato o, per lo meno, ritornare sempre all’oggetto di concentrazione iniziale. Ebbene, nonostante si converga – dunque – in prevalenza, sull’ambito che di volta in volta ci riguarda più da vicino, rammentiamo che interiorità ed esteriorità non sono due poli opposti, ma due aspetti reciproci che si compensano vicendevolmente. D’altro canto Philip Kapleau ci offre infine l’opportunità di comprendere che anche se lì per lì la tua mente è lontana dal tuo intimo, ossia ben lungi dal recondito, ad esempio è impegnata a inseguire una determinata idea, non sei necessariamente lontano dalla meditazione, purché tu sia solo in ciò che stai pensando.
“Lo zazen non è altro che il calarsi in ogni azione con completa attenzione e chiara consapevolezza. L’istruzione per compiere ciò fu fornita dallo stesso Buddha in uno dei primi sutra: «In ciò che si vede deve esserci solo ciò che si vede; in ciò che si ascolta, deve esserci solo ciò che si ascolta; in ciò di cui si ha sensazione, solo ciò di cui si ha sensazione; in ciò che si pensa, solo ciò che si pensa». […]
Per l’uomo comune, la cui mente è come una scacchiera nella quale si incrociano riflessioni, opinioni e pregiudizi, la pura attenzione è praticamente impossibile; la sua vita pertanto è incentrata non sulla realtà in sé ma sulle idee che egli ha di essa. Focalizzando la mente in modo esclusivo su ogni oggetto e su ogni azione, lo zazen la priva di tutti i pensieri estrinseci e ci permette di entrare in un rapporto integrale con la vita. […]
La figura del Buddha seduto sul suo trono di loto – sereno, stabile, onnisciente e onnicomprensivo, irradiante luce e compassione infinite – è l’esempio più nobile dell’hara espresso mediante l’illuminazione perfetta. Dall’altra parte, il “Pensatore” di Rodin, una figura solitaria ‘sperduta’ nel pensiero, dal corpo contorto, lontana e isolata dal proprio sé, rappresenta la condizione opposta. […]
Dato che il corpo costituisce l’aspetto materiale della mente e la mente l’aspetto immateriale del corpo, riunire le mani e le membra, le gambe e i piedi in una sola unità e in un punto centrale nel quale le mani giunte riposano sui calcagni mentre le gambe sono serrate, come nel caso della posizione del loto, facilita l’unificazione mentale. In ultimo, la posizione del loto, in cui le ginocchia e il seggio formano una base triangolare di grande stabilità, crea un senso di attaccamento alla terra insieme con un sentimento di unità onnicomprensiva priva della sensazione di interiorità ed esteriorità.”
(Alcuni brani dal classico di Philip Kapleau, I tre pilastri dello zen (amazon). Kapleau è stato direttore del Rochester Zen Center di New York dal 1966 fino alla sua morte, avvenuta nel 2004)
– Philip Kapleau, I tre pilastri dello zen (macrolibrarsi)
– Philip Kapleau (macrolibrarsi)
– Philip Kapleau (amazon)
– Philip Kapleau – Wikipedia