Siamo certi di conoscere tutta la verità della vita? La nostra percezione è, in genere, molto selettiva. Distinguiamo e prendiamo atto solo di ciò che ci risulta più familiare, coerente o in sintonia con le nostre attuali credenze. Riconosciamo – perlopiù – solo quel che si allinea o collima con le attuali regole sociali, con i costumi e, soprattutto, con le tradizioni e le superstizioni generalmente ammesse. Tuttavia, se volessimo ampliare le nostre vedute sino a comprendere anche ciò che in genere viene escluso a priori per motivi di opportunismo, se non ragioni etiche, quanto per i nostri medesimi sensi obiettivamente limitati, non potremmo che incamminarci sulla via dell’autoconoscenza, dell’indagine introspettiva, della meditazione. Cos’è che scopriremo? Quali tesori sepolti tra le pieghe della coscienza si riveleranno mai alla nostra coraggiosa e indefessa ricerca? A questo punto l’apice della consapevolezza paleserà in guisa inconfutabile il vero motivo del gioco universale: la totale e imprescindibile assenza di scopo. Alan W. Watts allude quindi al fatto che la nostra coscienza è come una minuscola fenditura da cui, in qualunque momento, può trasparire un guizzo etereo d’inesplicabile luce cosmica. […]
«La coscienza umana si configura come una forma di consapevolezza, sensibilità e comprensione, e nel contempo come una forma d’ignoranza. La nostra coscienza ordinaria e quotidiana lascia fuori più di quanto non assimili: tutte cose estremamente importanti. Per esempio, esclude cose che, se effettivamente le conoscessimo, allevierebbero le nostre ansie, paure e orrori. Se potessimo allargare la nostra consapevolezza alle cose che lasciamo fuori, sperimenteremmo una profonda pace interiore, perché tutti saremmo a conoscenza della singola cosa che non dobbiamo sapere. Secondo una delle regole del nostro particolare gioco sociale, semplicemente non è permesso conoscere tutta la verità sulla vita. Da un lato, tutta la verità significa il marcio delle cose, ma significa anche ciò che va al di là dell’ovvio, ciò che è misterioso, ciò che esiste nel profondo. Tale verità rappresenta proprio quell’aspetto incredibilmente importante dell’esistenza che viene escluso dalla nostra coscienza quotidiana.
I nostri sensi sono selettivi. Percepiamo solo a una banda sensoriale ristretta, perciò perdiamo una vastissima gamma di vibrazioni presenti al di là di quella banda, quali i raggi cosmici, i raggi ultravioletti, i raggi gamma, eccetera. Mi riferisco anche a ciò che anche i nostri strumenti sono in grado di captare: ci sono perfino vibrazioni che sfuggono alla loro stessa percezione. L’universo è un vasto sistema vibrazionale ricco di infinite possibilità. Quando si suona l’arpa non ci si limita a far scorrere le dita avanti e indietro sulle corde, il che produrrebbe un suono sgradevole. Si scelgono determinate corde in base a uno schema, cioè si scelgono note specifiche, che vanno a costituire uno schema. Allo stesso tempo, però, all’interno della continuità fondamentale dell’arpa, ci sono corde che non vengono né considerate né pizzicate.
Allora, che cosa avete lasciato fuori? Questa è una domanda assolutamente fondamentale. Siete focalizzati su determinate cose, che vanno a costituire la vostra concezione della realtà quotidiana. Fissate la vostra attenzione su determinate persone, su taluni aspetti degli edifici, scorci di paesaggio e spicchi di cielo; e in realtà vedete il mondo come un insieme di cose e di eventi piuttosto scollegati fra loro. Ma avete lasciato fuori qualcosa, vi siete dimenticati di qualcosa. Non sto parlando dei pantaloni, o della parrucca, o dei vostri occhiali, ma di qualcosa di assolutamente essenziale. Tutti l’hanno dimenticato. E un modo per riscoprirlo è farsi la domanda: «Chi sei tu?».
Allora potreste rispondere: «Sono Carlo Rossi», o qualunque sia il vostro nome. E se insisto ancora e dico: «No, no, no. Non rifilarmi queste baggianate. Chi sei tu, veramente?», potreste offendervi o pensare che sto parlando a vanvera, o che sto cercando di farvi un brutto scherzo. Ma in realtà, nel profondo di voi stessi, chi siete? Perché questa è la cosa che tutti abbiamo trascurato, che è stata dimenticata, che abbiamo escluso: il rovescio dell’arazzo.
Ci viene scrupolosamente insegnato a ignorare che ciascuno di noi è un atto, una funzione, una prestazione, una manifestazione dell’intero cosmo, di ciò che si potrebbe definire come Dio, o Brahman, o Tao. Ciascuno di noi è proprio questo, ma fingiamo con grande abilità e ipocrisia di non esserlo. In realtà, qui si tratta di riuscire a esistere simultaneamente su due piani. Se vivete la vita del vostro ego ordinario e impersonate il vostro ruolo, rispettando tutte le specifiche regole, pur comprendendo allo stesso tempo le verità profonde della vita, allora state vedendo il quadro generale. Siete ciò che definisco un Fantastico Essere Umano.
Ma la maggior parte di noi vive solo sul piano ordinario, pensando che esista solo quello. Perciò la vita diventa una noia e pensiamo di dover sopravvivere, lavoriamo sodo per sopravvivere, e i nostri figli ereditano lo stesso atteggiamento. E nessuno si diverte, perché stiamo solo cercando ossessivamente di superare tutto e di andare avanti. Così ci si stufa, sapete, e si sente di non poter vivere in questo modo, e alcuni decidono di uscire di scena e commettono suicidio. In un certo senso, è comprensibile: con un tale atteggiamento verso la vita, chi vorrebbe sentire di dover continuare a vivere?
Naturalmente, non è detto che la vita debba essere così. Niente affatto. La vita può essere molto gioiosa e spontanea. Il termine taoista per «natura» significa ‘essere così come si è da sé stessi’, stando a significare che la natura è spontanea.
Non la si deve forzare: essa si limita ad accadere. Una volta, a New York, ho assistito a una conferenza tenuta da un maestro zen di mia conoscenza. La cornice dell’evento era molto formale: il maestro indossava una tunica cerimoniale dorata ed era seduto di fronte a un altare con candele, accanto un piccolo leggio. ‘Parlava di un particolare sutra, rivolgendosi a un gruppo di devoti occidentali molto osservanti. A un certo punto disse: «Il principio fondamentale del buddhismo è l’assenza di scopo. Quando il Buddha aveva bisogno di scoreggiare, non diceva: “Alle nove in punto scoreggerò”. La scoreggia arriva da sola».
Quindi una cosa avviene da sola. Non è necessario dire a una scoreggia che dovrebbe manifestarsi, perché ciò le crea costrizione. Equivale a dire a un bambino di mettersi a giocare davanti a tutti i parenti nel giorno del Ringraziamento. Questo dà veramente molto fastidio ai bambini. È il problema di ogni artista, che si tratti di ballerini, musicisti, pittori eccetera, perché gli artisti si guadagnano da vivere con la loro arte. E fare una performance su richiesta, specialmente in pubblico e alla tale ora, non è qualcosa di facile da imparare. Il mio amico Saburo Hasegawa si riferisce a questo espediente in termini di «incidente controllato».
Tornando a quanto dicevamo: siamo stati educati a fare un uso limitato della nostra mente. Ci hanno insegnato a ignorare che ciascuno di noi rappresenta un varco attraverso il quale l’intero cosmo sperimenta l’esistenza. Ciascuno di noi è un pertugio dal quale la luce fondamentale, ossia l’esistenza stessa, può affacciarsi, eppure noi giochiamo al gioco di dimenticare questo fatto e facciamo finta di essere solo quel piccolo buco, quella piccola cosa che definiamo «io», o ego, o Carlo Rossi, o quant’altro. Ma se riusciamo a mantenere viva in noi la sensazione di essere Carlo Rossi e allo stesso tempo a capire di essere tutta l’opera completa, raggiungiamo una condizione meravigliosamente piacevole. Se si riesce a sostenere entrambe le prospettive simultaneamente, si prova un’indicibile armonia, che porterà nella vostra vita un grande senso di gioia e di esuberanza, perché voi sapete che tutte le situazioni difficili della vita sono un gioco.
Non sto dicendo che sia un male prendere sul serio la vita a livello individuale. Tuttavia potreste anche vedere i vostri problemi e sfide come manifestazioni della natura, come schemi nel comportamento delle onde, o come onde nell’oceano, o come conchiglie sulla spiaggia. Avete mai osservato veramente una conchiglia? Non ha alcun difetto estetico, è assolutamente perfetta. Ora, pensate che le conchiglie si osservino fra loro e critichino il loro aspetto? «Mmh, le tue striature sono un po’ storte e non ben distanziate». Naturalmente no, ma questo è ciò che noi facciamo. Ognuno di noi è meraviglioso, complicato, interessante e bellissimo proprio così com’è. Osservate per davvero gli occhi di un’altra persona. Sono gioielli incomparabili, sono semplicemente stupendi!
Ci siamo specializzati in un certo tipo di consapevolezza che ci fa dimenticare di vederlo. Siamo molto bravi a mantenere una concentrazione focalizzata, di breve durata. Guardiamo questo e quello e scegliamo solo una manciata di cose fra tutte quelle di cui potremmo essere consapevoli. Nel fare ciò, escludiamo esperienze quotidiane di stupenda bellezza e anche il senso di unità con l’intero processo di esistenza. Ci concentriamo su alcuni dettagli del paesaggio e ignoriamo lo sfondo.»
[ Da: Alan Watts, “Lo zen e l’arte di imbrogliare la mente“ ]
– Alan W. Watts (macrolibrarsi)
– Alan Watts (amazon)
– Alan Watts – Wikipedia