Quante volte hai ascoltato affermazioni perentorie di matrice mistica del tipo: la fede è la chiave di volta di qualsivoglia cammino spirituale, è la condizione sine qua non senza di cui ogni via – che conduca al risveglio – ti sarà preclusa? E invece la tradizione Son, ossia la versione coreana dello Zen, rimarca, mette in evidenza, innanzitutto il dubbio. Tuttavia non sarà sufficiente esperire una leggera perplessità, ma il sentimento, oltre che sincero, dovrà essere pressoché totale. Leggiamo, ora, come illustra siffatta pratica di meditazione Stephen Batchelor…
«Dai ventisette ai trentun anni, ho proseguito il mio addestramento monastico buddhista in un monastero sŏn (zen) in Corea del sud, dove l’unica pratica di meditazione consisteva nello stare seduti di fronte a un muro dalle dieci alle dodici ore al giorno chiedendosi: “Che cos’è questo?”. Questa impossibile domanda mi ha guidato fin da allora. Mi ha condotto lontano dalla ricerca religiosa della verità assoluta e mi ha riportato a un incontro perplesso con questo mondo condizionato, doloroso e ambiguo, qui e ora.
La tradizione sŏn inizia nella Cina Tang del settimo secolo come reazione all’interesse eccessivo per la metafisica delle scuole buddhiste ufficiali. Cercava di recuperare la semplicità del primo buddhismo seguendo l’esempio di Gotama: sedersi immobili sotto un albero e interrogarsi con rigore sulle domande primordiali: che cosa significhi nascere, ammalarsi, invecchiare e morire. I maestri sôn avevano compreso che il tipo di ‘illuminazione’ che si ottiene dipende dal modo stesso in cui queste domande vengono poste. Un famoso aforisma racchiude questa intuizione:
Grande dubbio – grande risveglio;
Piccolo dubbio – piccolo risveglio;
Nessun dubbio – nessun risveglio.
La qualità del ‘dubbio’ (delle domande che mi pongo) è direttamente correlata alla qualità della comprensione a cui potrò arrivare. Porre tali domande in modo viscerale genererà un risveglio corrispondentemente viscerale. Porle in modo intellettuale, con un ‘piccolo dubbio’, condurrà soltanto a una comprensione intellettuale. Il risveglio non è neppure concepibile da chi non è in qualche modo mosso da questioni esistenziali. I praticanti son rifiutavano il sapere metafisico dei monaci-studiosi non perché non fossero d’accordo con le loro conclusioni, ma innanzitutto perché non condividevano il modo in cui essi ponevano le domande. Praticare il Sŏn significa porre quelle domande con tutto il corpo, incluse “le sue 360 ossa e giunture e gli 84.000 pori della pelle”, in modo che diventi un “grumo solido di dubbio”. Il dubbio, per di più, deve raggiungere una massa critica, “come una palla di ferro incandescente, che hai mandato giù e che cerchi di vomitare ma non ci riesci”.
Mantenere questo tipo di pressante incertezza implica imparare a rimanere in uno stato mentale equilibrato, concentrato e inquisitivo, senza soccombere al richiamo seducente del ‘è questo’ e ‘non è quello’. Per porre una domanda con sincerità, si devono sospendere tutte le aspettative sulla risposta possibile. Occorre restare in una condizione di non sapere, pienamente coscienti del puro mistero dell’essere vivi invece che morti. In questo modo, si coltiva una via di mezzo tra ‘è’ e ‘non è’, affermazione e negazione, essere e nulla.
Percorrere questa via di mezzo nella pratica è come camminare su una fune: la via oscilla e si sposta in continuazione. Abitiamo un regno linguistico, in cui non possiamo evitare di usare termini come ‘è’ e ‘non è’, ed un regno morale, dove siamo costretti a esprimere preferenze e a fare scelte. Le polarità insite nella coscienza umana sono utili, se non indispensabili, nel fornire una struttura che guida il nostro percorso nella vita. Sono come l’asta che tiene in mano il funambolo, e che gli dà la stabilità essenziale a fare il passo successivo. Il punto, dunque, non è rifiutare le dualità a favore di una ipotetica ‘non dualità’, ma imparare a vivere con esse in modo più leggero e fluido e con ironia. Il pericolo della dualità, contro il quale il Buddha mette in guardia i suoi seguaci, non è nel fatto di pensare per opposizioni. Piuttosto, consiste nell’uso del pensiero dualistico per rinforzare e giustificare il nostro egoismo, le nostre brame, le nostre paure e i nostri odi.»
[ Da: Stephen Batchelor, “Dopo il buddhismo. Ripensare il dharma per un’epoca laica“ ]
– Stephen Batchelor (amazon)
– Stephen Batchelor (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_Batchelor