Premetto una breve riflessione introduttiva finalizzata, soprattutto, a correlare – il più chiaramente possibile – i temi trattati alla meditazione. In realtà fare ed essere, ossia la volontà che si prefigge di portare a compimento un determinato obiettivo, da una parte, e l’autocoscienza dell’agente, dall’altra, non sono per nulla contrapposti. Consapevoli di se stessi come delle proprie azioni: è il massimo dell’efficienza. E se accadesse d’identificarsi con ciò che si osserva, con lo schema che di volta in volta sì attua? Il rimedio è sempre quello, esserne consapevoli. Quell’unità di azione e spirito (coscienza) è la chiave del successo. Ciò che in definitiva si realizza è sempre e solo l’Uno. Ora seguono le considerazioni in merito di Jon Kabat-Zinn.
«La modalità del fare è volta a conseguire obiettivi prefissati, concentrandoci sulla discrepanza tra la nostra idea di dove ci troviamo in questo momento e le nostre idee di dove desideriamo essere.
La modalità dell’essere, per contro, non si occupa del divario tra il modo in cui stanno le cose e il modo in cui vorremmo che fossero. Almeno in linea di principio, non c’è nessun attaccamento ad alcun obiettivo da conseguire. Questo orientamento a “non lottare” contribuisce di per sé a liberarci dalla rigorosa concentrazione sull’obiettivo che è tipica della modalità del fare. Inoltre esso ha altre due implicazioni importanti. In primo luogo, nella modalità dell’essere non c’è necessità di un monitoraggio e di una valutazione continui per verificare se lo stato del mondo si avvicina alla nostra idea dell’obiettivo che ci siamo prefissati. Ciò si rispecchia nel nostro modo di fare attenzione, che non giudica ed è improntato all’accettazione.
Nella modalità dell’essere scopriamo che possiamo sospendere la valutazione della nostra esperienza, non abbiamo bisogno di pensare a come “dovrebbe” essere, di chiederci se sia “corretta” o meno, se sia “abbastanza buona” o meno, se stiamo “riuscendo” o “fallendo”, persino se ci sentiamo bene o male. Ogni momento presente può essere accolto così com’è, in tutta la sua profondità, ampiezza e ricchezza, senza “secondi fini”, senza un costante giudizio su quanto il nostro mondo sia distante da come vorremmo che fosse. Che sollievo! ma è molto importante avere chiaro che quando smettiamo di valutare costantemente la nostra esperienza in questo modo, non ci ritroviamo ad andare alla deriva, senza uno scopo o un obiettivo per le nostre azioni; possiamo ancora agire con intenzione e in modo mirato. Il fare compulsivo, abituale e inconscio non è l’unica fonte di motivazione disponibile. Infatti possiamo agire anche nella modalità dell’essere. La differenza è che non siamo più concentrati in modo cosi limitato sui concetti legati ai nostri obiettivi, né così attaccati ad essi. […]
Come abbiamo già detto, “non lottare”, non significa lasciarsi galleggiare e andare alla deriva. Significa estendere la nostra sfera d’attenzione oltre a quanto è necessario per conseguire un particolare obiettivo. Significa anche che anziché mettere in atto tenaci sforzi per respingere le emozioni “inaccettabili” che ci attraversano, andiamo loro incontro con un senso di accettazione. Ma la consapevolezza è ben lungi da una rassegnazione passiva. […]
Come dice l’insegnante di meditazione Christina Feldman: “La consapevolezza non è una presenza neutrale o vuota. La vera consapevolezza è impregnata di calore, compassione e interesse. Alla luce di questa attenzione impegnata, scopriamo che è impossibile odiare o temere qualsiasi cosa o chiunque noi capiamo veramente. La natura della consapevolezza è l’impegno: laddove c’è interesse, segue un’attenzione naturale non forzata.”»
– Jon Kabat-Zinn (amazon)
– Jon Kabat-Zinn (macrolibrarsi)
– Jon Kabat-Zinn – Wikipedia
– Mindfulness – Wikipedia