Cos’è il vuoto? Ebbene, prima di descriverlo per ciò che è, sarebbe meglio tentar di comprendere quel che, in realtà, non è, né tanto meno lo diverrà mai. Il vuoto non è un dettaglio, ma non è nemmeno una qualche somma di caratteristiche intrinseche. Quindi il vuoto non può esser definito con un determinato aggettivo. Per quanto mi riguarda, dapprima ne rilevi soprattutto l’insieme delle dinamiche sfuggenti, elusive, inafferrabili. In un secondo momento, quando familiarizzi e ti eserciti a viverlo appieno – in parole più semplici, quando cominci a praticare la meditazione – si rivela la summa, la sintesi di tutta l’energia possibile, un compendio sistematico che favorisce il tuo approdo ai lidi della gioia tout court, agli ormeggi di un’esistenza piena e quanto mai realizzata. Un’astuta e molto evoluta forma di meditazione è contemplare l’assenza di pensieri e quindi il vuoto intrinseco della mente nella sua più pura ed essenziale immediatezza. Tuttavia leggiamo come si cimenta brevemente Alan Watts con le suddette argomentazioni. …
«Nell’iconografia buddhista spesso il vuoto è simboleggiato da uno specchio. Uno specchio non ha colore, si limita a riflettere tutti i colori che appaiono su di esso. Anche Hui Neng ha detto che il vuoto somigliava allo spazio. Lo spazio contiene tutto (montagne, oceani, stelle, persone buone, persone cattive, piante, animali, tutto). E anche la mente è così. Lo spazio è la vostra mente. Per noi è difficile accorgercene perché pensiamo di essere nello spazio e di rivolgere lo sguardo verso lo spazio. Tutto lo spazio, tutti i tipi di spazio, sia esso visivo, dimensionale, auditivo, temporale, musicale, tangibile, sono la mente. Sono dimensioni della coscienza. E perciò il grande spazio, che ognuno di noi comprende in modo leggermente diverso, nel quale si muove l’universo, è la mente. Perciò la mente viene rappresentata come uno specchio, poiché lo specchio, pur non avendo colore di per sé, è in grado di ricevere tutti i colori. Meister Eckhart, mistico cristiano del XIII secolo, ha affermato: «Se il mio occhio deve vedere il colore, deve essere libero da ogni colore». Allo stesso modo, per vedere, udire, pensare e sentire, si deve avere la mente vuota. Il motivo per cui non siete consapevoli dei vostri neuroni è che essi sono vuoti, ed è per questo che siete in grado di fare delle esperienze.
Dunque, questo è il principio fondamentale del Mahāyāna. Quando i monaci buddhisti induisti si recarono in Cina e i Cinesi li osservavano mentre cercavano di meditare perfettamente immobili e di non lasciarsi coinvolgere dalle attività mondane (erano monaci celibi), li ritennero pazzi. Perché agivano così? I Cinesi erano molto pratici, perciò riformarono il buddhismo e permisero ai preti buddhisti di sposarsi. E la loro storia preferita proveniente dall’India parlava di un laico, il ricco mercante Vimalakirti, che riusciva sempre ad avere la meglio a parole su qualunque altro discepolo del Buddha. Vinse perfino un dibattito contro Manjushri, il Bodhisattva della saggezza. Parteciparono tutti a una gara per definire il vuoto, nella quale i monaci formularono Ie loro definizioni e Manjushri fornì la sua; poi venne il turno di Vimalakirti. Ebbene, il mercante non disse nulla. E fu cosi che vinse la gara. Il tuono del silenzio.»
[ Da: Alan Watts, “Lo zen e l’arte di imbrogliare la mente“ ]
– Alan W. Watts – Macrolibrarsi.it
– Alan Watts – Amazon
– Alan Watts – Wikipedia