Carpe Diem, ossia, nella sua forma più elementare, coglier l’attimo, è un motto antesignano del più evoluto e arzigogolato concetto di consapevolezza che la tradizione orientale – quella di matrice spirituale, s’intende – ha avuto l’onere, ma soprattutto il pregio, di diffondere. I capisaldi imprescindibili attorno a cui peraltro ruotano le pratiche meditative ispirate maggiormente allo Zen sono, per l’appunto, “Qui e Ora, Presenti al Presente, Nuovi nel Nuovo Istante”. Il che rappresenta, di fatto, un vero e proprio programma contemplativo finalizzato all’interiorizzazione tout court della mente. Non dimentichiamo, tuttavia, che siffatto genere di speculazioni intellettuali, ben lungi dal semplificare il proprio approccio esistenziale lo complicano nella misura stessa in cui pretendono d’indicare, di prescrivere, ovverosia fondano dottrine per poi – rappresenta proprio il colmo – specularci su … Caro lettore, diventa dunque consapevole del respiro – come di tutto ciò attorno a cui ruota, di volta in volta, la tua esistenza – e offrilo al Nulla. Quel Vuoto saprà – beninteso – come render merito alla tua disinteressata, quanto spassionata, ricerca. Segue un dotto e articolato excursus sull’imprescindibile Carpe Diem …
“Carpe diem è una locuzione latina tratta dalle Odi del poeta latino Orazio (Odi 1, 11, 8), traducibile in “cogli il giorno” e spesso liberamente tradotta in “cogli l’attimo”. Viene di norma citata in questa forma abbreviata, anche se sarebbe opportuno completarla con il seguito del verso oraziano: “quam minimum credula postero” (“confidando il meno possibile nel domani”). È un invito a godere ogni giorno dei beni offerti dalla vita, dato che il futuro non è prevedibile, da intendersi non come invito alla ricerca del piacere, ma ad apprezzare ciò che si ha. Si tratta non solo di una delle più celebri orazioni della latinità, ma anche di una delle filosofie di vita più influenti della storia, nonché di una delle più fraintese, nella quale Orazio fece confluire tutta la potenza lirica della sua poesia.
Traduzione
Carpe in latino è la seconda persona singolare dell’imperativo carpo (“io colgo”), da intendersi in senso esortativo, mentre diem è l’accusativo singolare del sostantivo dies, che significa “giorno”.
Carpo letteralmente significa “io colgo”, ma in questo caso è, citando Alfonso Traina, “un verbo tecnico, alla frontiera tra i due campi semantici di prendere e cogliere, che indica un processo traumatico, un prendere a spizzico con un movimento lacerante e progressivo che va dal tutto alle parti”, pertanto le numerose traduzioni possibili includono “cogli il giorno”, traduzione letterale, “goditi il presente” o “vivi questo giorno”.
Significato
La «filosofia» oraziana del carpe diem si fonda sulla considerazione che all’uomo non è dato di conoscere il futuro, né tantomeno di determinarlo. Solo sul presente l’uomo può intervenire e solo sul presente, quindi, devono concentrarsi le sue azioni, che, in ogni sua manifestazione, deve sempre cercare di cogliere le occasioni, le opportunità, le gioie che si presentano oggi, senza alcun condizionamento derivante da ipotetiche speranze o ansiosi timori per il futuro.
Si tratta di una «filosofia» che pone in primo piano la libertà dell’uomo nel gestire la propria vita e invita a essere responsabili del proprio tempo, perché, come dice il poeta stesso nel verso precedente, “Dum loquimur, fugerit invida aetas” (“Mentre parliamo, sarà fuggito avido il tempo”), ed è inutile sprecare la vita cercando di conoscere il futuro. L’esistenza è vista come limitata e precaria, che può essere bruscamente interrotta da qualsiasi accidente e perciò dev’essere vissuta cercando l’assenza di dolore per non pensare alla fine inevitabile. Il carpe diem è una “callida iunctura”, ossia la singolare giustapposizione di due termini, tecnica tipicamente oraziana.
Ma anche guardare al semplice godimento di un piacere, pur se responsabilizzato, è mortificante del profondo senso della locuzione. Orazio volle infondere una serena dignità all’uomo che dia valore alla propria esistenza sfidando l’usura del tempo e il suo status effimero. Lungi quindi dall’essere un crasso e materialista invito al bere, od anche un piacere senza turbamento, il “carpe diem” è piuttosto ispirato alla concezione epicurea di felicità come assenza di dolore, ed esprime l’angosciosa imprevedibilità del futuro, la gioia dignitosa della vita e la rassegnazione nell’accettare della morte, che il poeta cerca di esorcizzare con l’invito a vivere il presente per non pensare al momento inevitabile del trapasso. È l’espressione di un valore che spesso nelle odi oraziane si confonde con l’ammirata esplorazione lirica del paesaggio, talvolta meraviglioso e sublime, talvolta a tinte cupe e fosche: riflesso perenne di un’esistenza complessa, di un reticolo fittissimo di esperienze ed emozioni che è lecito vivere intensamente prima della morte.”