Quante volte, nel corso dei nostri studi volti a esplorare la spiritualità tout court che si richiama soprattutto al cosiddetto Principio Divino, l’afflato super-cosciente per eccellenza, ci siamo imbattuti nel concetto di “povertà spirituale” e relative varianti speculative? Suppongo molte, per lo meno per ciò che mi riguarda. Ebbene, cosa significa davvero, cosa comporta? Comprenderlo può esserci di aiuto? Ovviamente il contesto in cui ci troviamo ora non è per nulla teorico, noi tentiamo di rapportarci comunque alla concretezza, ma tant’è, approfondir non nuoce ad alcuna prassi, figuriamoci per coloro che in-seguono la prospettiva della meditazione … Leggiamo, dunque, come può illuminarci in merito René Guénon …
«L’essere contingente può essere descritto come non autosufficiente e non capace di comprendere in sé la propria esistenza; ne segue che tale essere è di per sé nulla e non possiede niente di ciò che lo determina. Tale è la situazione dell’essere umano per quanto riguarda lo stato individuale, così come lo è per ogni altro essere manifesto, in qualunque stato si trovi, per quanto possano esservi grandi differenze tra i gradi dell’Esistenza Universale, di essere nulla in confronto al Principio. Tali esseri, umani o altri, sono perciò, in tutto e per tutto, in uno stato di completa dipendenza nei confronti del Principio “a parte il quale non vi è nulla, assolutamente nulla che esista”; la consapevolezza di questa dipendenza determina quello stato che talune tradizioni hanno chiamato “povertà spirituale”.
Allo stesso tempo, per quell’essere che abbia acquisito tale consapevolezza, si ha, come immediata conseguenza, il distacco nei confronti di tutte le creature manifeste, poiché diviene consapevole, di qui in avanti, che tali oggetti, come lui stesso, sono nulla e non hanno alcun valore in confronto alla Realtà Assoluta. Questo distacco implica essenzialmente e soprattutto, nel caso dell’essere umano, indifferenza verso il frutto delle azioni, come è insegnato in particolare nella Bhagavad Gita, atteggiamento che permette all’essere di sfuggire l’infinita catena di conseguenze che derivano dalle azioni; si tratta dell’”agire senza desiderio” (nishkaama karma), mentre l’“agire con desiderio” (sakaama karma) è l’azione svolta in vista dei suoi frutti. “La vera causa delle cose è invisibile e non può essere catturata, definita o determinata. Si può coglierla nella profonda contemplazione da colui che si sia ri-stabilito nello stato di perfetta semplicità, e da nessun altro.” (Lie-Tseu. ch.IV.)
“Semplicità”, come unificazione di tutti i poteri dell’essere, è una caratteristica del ritorno allo “stato primordiale”; qui si osserva la differenza che separa la conoscenza trascendente del saggio dalla conoscenza ordinaria e “profana”. Questa “semplicità” è quanto altrove è chiamato “infanzia” (in sanscrito baalya), da intendersi in senso spirituale, infanzia che nella dottrina Indù è considerata la condizione indispensabile per la vera conoscenza.
Si ritrovano qui le parole corrispondenti nei Vangeli: “Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà” (Luca XVIII 17), “Tu hai nascosto queste cose agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Matteo XI 25) Luca X 21). “Semplicità” e “piccolezza” sono equivalenti, in realtà alla “povertà” che spesso è menzionata nei Vangeli, e che spesso è oggetto di equivoci: “Beati i poveri di spirito, loro è il Regno dei Cieli” (Matteo V 2).
Questa “povertà” (in Arabo al-faqr) conduce, secondo l’esoterismo islamico, ad al-fanaa, all’estinzione dell’ego; (nota: tale “estinzione” non è priva di analogie, fino al significato letterale della parola, con il Nirvana della dottrina Indù; oltre al-fanaa vi è fanaa’ al-fanaa’, l’estinzione dell’estinzione, che corrisponde adeguatamente al paranirvana.) e, grazie a questa “estinzione” si raggiunge la “stazione divina” (al-maaqam al-ilaahii), il punto centrale in cui tutte le distinzioni proprie dei punti di vista estrovertiti sono superate e tutte le contrapposizioni sono svanite e risolte in un equilibrio perfetto. “Nello stato primordiale, le contrapposizioni non esistono. Esse derivano dalla diversificazione degli esseri (inerente la manifestazione e, come essa, contingente) e dal reciproco contatto causato dalla rotazione Universale (la rotazione della “ruota cosmica” sul proprio asse). Esse cessano di affliggere l’essere che abbia ridotto a nulla la distinzione dell’ego e il suo particolare movimento. (Choang-Tseu, ch. XIX.)
La riduzione dell’ego individuale, che infine scompare riassorbito nel singolo punto, è quanto si indica con al-Fanaa e anche con il “vuoto” menzionato; per di più, è chiaro che, seguendo il simbolismo della ruota, il “movimento” di un essere si riduce mano a mano che si avvicina al centro.
Per “semplicità” si intende l’unità “senza dimensioni” del punto primordiale, che segna la fine del movimento nella sua origine. “L’uomo completamente semplice influenza con la sua semplicità tutti gli esseri, così che dalle sei regioni dello spazio nulla si oppone al lui, nulla gli è ostile e il fuoco e l’acqua non gli possono nuocere”. (Lie-Tseu, ch. II.) In effetti egli rimane al centro delle sei direzioni che da lui provengono per emanazione e a cui ritornano, per quel movimento che riporta all’indietro, per essere neutralizzate a due a due, cosicché in quello stesso punto le tre coppie di opposti cessano di esistere completamente, e nulla che ne derivi o che vi appartenga può raggiungere l’essere che dimora nell’unità immutabile.
Se dunque non si oppone a nulla, nulla si porrà contro di lui, poiché all’opposizione è necessaria la reciproca relazione, che necessita della presenza di due termini, incompatibile con l’unità del principio; l’ostilità, che è solo il risultato della manifestazione esteriore dell’opposizione, non può esistere in relazione a un essere che è al di fuori e al di là di tutte le opposizioni. Fuoco e acqua, che sono i generi opposti nel “mondo elementare”, non possono nuocergli, poiché, in realtà, non esistono più come opposti, essendo ritornati, bilanciando e neutralizzandosi l’uno con l’altro nella riunione delle specifiche qualità, che sebbene opposte le une alle altre, sono effettivamente complementari, nell’indifferenziazione dell’etere primordiale.
Quel punto centrale che è per l’essere umano la comunicazione con gli stati più elevati o “celesti”, è la “porta stretta” del simbolismo evangelico e che per le ragioni esposte sopra risulterà chiaro chi siano quei “ricchi” che non possono oltrepassarla; sono gli esseri attaccati alla molteplicità, che sono perciò incapaci sollevarsi dalla conoscenza distintiva; di unificare la conoscenza. L’attaccamento infatti, è l’esatto opposto del distacco indicato in precedenza, così come la ricchezza è l’opposto della povertà, e coinvolge l’essere in una infinita serie di cicli di manifestazione.
L’attaccamento alla molteplicità è anche, in un certo senso, la “tentazione” di cui parla la Bibbia che, facendo assaggiare all’essere il frutto dell’”Albero della Conoscenza del Bene e del Male” lo allontana dall’unità centrale originaria e gli impedisce di raggiungere l’”Albero della Vita”; proprio per questo, infatti, l’essere è sottoposto alla nascita e alla morte. L’apparente via senza fine della molteplicità è raffigurata con esattezza dalle spire del serpente avvolte attorno all’albero che simboleggia l’”Asse del Mondo”; questa è la via di “coloro che sono condotti fuori strada (ad-daalliin), di coloro che sono in “errore” nel senso etimologico della parola, in contrapposizione alla “retta via” (as-siraat al-mustaqiim), in ascensione verticale sullo stesso asse, via citata nella prima Sura del Corano. (nota: la “retta via” è identica al Te o la “Rettitudine” di Lao-Tze, la direzione che deve essere seguita affinché la vita sia in armonia con la “via” (Tao) o in altre parole, in conformità col Principio.)
“Povertà”, “semplicità” e “infanzia” sono niente altro che la stessa cosa, e il processo di svestizione che queste parole esprimono [..] culmina in una “estinzione”, che in realtà è la pienezza dell’essere, come l’”inazione” (wu-wei) è la pienezza dell’attività, poiché da quella tutte le attività derivano; “Il Principio è sempre inattivo, eppure ogni cosa è prodotta da lui”.(Tao-Te-Ching, XXXVII.)
L’essere che ha raggiunto in questo modo il punto centrale ha realizzato, in senso compiuto, l’umanità nella sua interezza; egli è il “vero uomo” (chenn-jen) del Taoismo e quando, partendo da questo punto per raggiungere gli stati più elevati, abbia raggiunto il pieno completamento delle sue possibilità, sarà diventato l’”Uomo Divino” (sheun-jen), ovvero l’”Uomo Universale” (al-insaan al-kaamil) dell’esoterismo islamico. Dunque possiamo dire che coloro che sono “ricchi” dal punto di vista della manifestazione sono realmente “poveri” in relazione al Principio, e viceversa; ciò è quanto viene espresso chiaramente “Gli ultimi saranno primi e i primi saranno ultimi” (Matteo XX 16); e noi dobbiamo ancora una volta osservare la perfetta concordanza tra tutte le dottrine tradizionali, che non sono altro che diverse espressioni della sola Verità.»
(Articolo di René Guénon in “Studies in Comparative Religion Winter 1973, pp. 16-20”)
«Tutto ciò che è, sotto qualsiasi modalità si trovi, avendo il suo principio nell’Intelletto divino, traduce o rappresenta questo principio secondo la sua maniera e secondo il suo ordine d’esistenza; e, così, da un ordine all’altro, tutte le cose si concatenano e si corrispondono per concorrere all’armonia universale e totale, che è come un riflesso dell’Unità divina stessa.»
(René Guénon, Il Verbo e il Simbolo, gennaio 1926, ora in Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano 1975, p. 22)
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