Smettiamo di negarlo, di far finta di non saperlo, la cattiveria umana ha dell’indicibile. Voltarsi dall’altra parte non serve, prima o poi potrebbe toccare a chiunque. Che tu sia vittima o carnefice o neutrale, ossia nel giusto mezzo, se non persino indifferente, i ruoli potrebbero avvicendarsi e invertirsi.
L’ago della bilancia è quello della sopravvivenza. In caso di necessità le sovrastrutture culturali, le credenze, le innumerevoli suggestioni ipnotiche di esser tra i buoni, tra i giusti, lasceranno il tempo che trovano e ciascuno incontrerà, d’improvviso, il proprio vero volto, l’essenza, la nuda realtà. Quindi sarà meglio non illudersi più, agire prima, anzitempo e su due direttrici.
La prima è garantirsi le risorse minime per poter sopravvivere. Possiamo accettare la precarietà, ma non il rischio di restare senza nulla. Noi non siamo e non saremo mai poveri, apparteniamo a una stessa società. Chiaro? Senza solidarietà non esiste nemmeno alcuna società.
La seconda implica un minimo d’introspezione. Non si tratta, beninteso, di cercare il cosiddetto silenzio, la tranquillizzazione dei sensi, la pace, la calma. Spesso e volentieri questi stati d’animo sono frutto di autoipnosi. Oppure indotti da comportamenti ripetitivi come preghiere, mantra e così via. Ciò che, al contrario, bisogna suscitare è la volontà che, di per sè, è sempre e solo luce.
Medita: siedi ben dritto e osserva l’andirivieni del respiro, delle emozioni, dei pensieri. Ridiventa il regista della tua stessa scenografia. Da semplice comparsa risali al raggio di luce che da forma a questa, comunque splendida, fantasmagorica manifestazione.