“Buondì maestro, abbi pietà di questa creatura degenere, puoi concedermi udienza?”, chiese la rana zen al custode del “Tempio che non c’è”.
“Siamo alle solite”, pensò quella sorgente di ogni bene. “Se anche stavolta non mi farà ammattire, ci mancherà poco”, sospirò il venerabile. Tuttavia dissimulò la sua perplessità con un’occhiata quasi austera.
Senza darsi affatto per vinta la rana zen proseguì: “Ti seguo da molto e i tuoi addestramenti hanno sempre colto il segno. Lì per lì mi hanno smossa. Ho avuto finanche l’impressione d’intuire il centro senza centro. Mi sono sentita proiettata al settimo cielo. Ma ora, con gli anni, mi rendo conto che non è affatto ciò a cui aspiravo. Sì, lo so, non dovrei anelare un bel nulla, eppure … Faccio il punto. Sì, cerco la libertà. In particolar modo quella dal passato. Tento di sconfiggere le ansie, i timori, i traumi che mi trascino dietro. Ti confesso – e a chi se non a te? – che a volte ne sono persino terrorizzata. Finanche la meditazione – se non per brevi lassi e contesti – non mi ha ancora aiutato. Ora, è vero che non approfondisco più di tanto. M’invento sempre succedanei: improbabili camminate, pedisseque giravolte mantriche, mi alieno nella contemplazione della mia idea di Dio, di un simbolo, dell’ottimismo, di una sorta di compassionevole altruismo, del vuoto generico, del nulla-tutto, di un muro bianco, del respiro, di chi più ne ha più ne metta. Sennonché, dagli oggi, dagli domani e mi areno. Nel contempo ti vedo così calmo, tranquillo. Nonostante tu sia tanto affaccendato non perdi mai la bussola. O se lo fai, già sorridi. Maestro, come posso bypassare e sconfiggere il mio stesso passato?”.
Così implorò la rana zen; e il cinguettio dei più recenti custodi della grondaia del loggiato delle udienze rallegrò i convenuti: uno scoiattolo su di un pino adiacente, il gatto del Tempio che – guarda caso – non perdeva mai una sillaba, quattro monaci e una ventina di straniti, indecifrabili allievi. Il quadro è completo?
“Direi di sì, non v’è più nulla d’aggiungere”, rifletté lo scrivente.
Il maestro si ergeva dall’alto della sua preponderante … umiltà. A esser sinceri, era così a suo agio da passare quasi inosservato. Ma chi lo conosceva bene non poté non presentire l’importanza che attribuiva a quel momento: “Sei frustrata figliola? Ne hai ben donde”. L’astuto monaco centellinava le frasi. “Vuoi sconfiggere il passato? Tempo perso. Non si può combattere contro i mulini a vento, i fantasmi. Ciò che dovresti, semmai, sconfiggere è il tuo stesso futuro”. Poi precisò: “Le tue aspettative riguardo il futuro si trasformano, talvolta, in un vero e proprio disastro. Tu mira sempre all’oggi e il futuro dispiegherà comunque da sé le sue splendide ali”.
Chi seguiva rimase, per un po’, senza fiato. I distratti drizzarono le orecchie. I monaci sorrisero con fare saputo. I discepoli annuirono. Il gatto restò impassibile, ma tanto era già illuminato. La rana vide azzurro. E il maestro? Non c’era, stava già lavorando.