“Maestro, mi offri, di grazia, l’input per affrontare meglio la mia giornata?”, chiese senza preamboli la rana zen all’illustre precettore che disciplinava il raccoglimento meditativo mattutino.
Chi fossero davvero i nostri personaggi, donde provenissero, quale fosse il loro vero scopo, ossia a cosa mirassero davvero, non è dato saperlo. La maggior parte di loro erano semplicemente lì, spuntati quasi come funghi, nel luogo giusto e al momento migliore affinché realizzassero il massimo del loro assurdo potenziale zero. In parole più semplici, tutti quegli splendidi apprendisti dell’arte dei giardini interiori erano lì per far tabula rasa delle sterpaglie loro malgrado ereditate dalle più rocambolesche vite precedenti. Erano lì per rinascere, ma stavolta in piena coscienza, a occhi aperti e alla vita vera che si erano rifiutati così tante volte di accettare.
La rana zen pregò, dunque, il maestro e quegli rispose: “Accidenti a te, figliola, ce l’avevo sulla punta della lingua e se non avessi blaterato così tanto te l’avrei suggerito volentieri. Torna domani”.
La rana zen ritornò l’indomani, ma sapeva già che sarebbe stato pressoché inutile. Ne aveva avuto sentore percependo l’aura opalescente che avvolgeva il sant’uomo. Seppe così che si era appena dissolto. Tuttavia non l’aveva affatto dimenticata. Tant’è che prima di andarsene definitiva-mente le aveva affibbiato per iscritto uno strano incarico. Doveva ascoltare – ciascun mattino – le richieste o le preghiere che ogni componente di quello splendido gruppo avesse mai voluto rivolgerle.
“Cos’è che mi avrebbe risposto?”, rifletté la rana.
“Credo che in qualche modo lo intuirai ben presto. Ma tant’è, meglio precisare”, aveva trascritto il maestro nel biglietto che le aveva lasciato. “Dai tempo al tempo: le scorie più inutili del nugolo di dubbi che ora come ora ti assillano svaniranno da sé; ma nel frattempo, non dimenticarlo, medita sullo zero”.