Salta di qua, salta di là, sopraggiunse, infine, il giorno in cui la rana si rese conto che per salvarsi la vita – o, perlomeno, confidare in una prospettiva un po’ più rosea – non le restava che pregare. Quel momento, invero, è un po’ tragico per tutti. Ma non si trattava solo di questioni di salute. Le circostanze l’avevano travolta come un fuscello. Lei, da buona meditante, si era arroccata in una torre d’avorio e silenzio riproponendosi di reagire al momento più opportuno.
Sennonché gli eventi collassavano di continuo senza lasciarle un attimo di tregua. Di lì a poco sarebbe stata la fine, dei suoi amori, delle sue speranze, di tutto ciò in cui aveva investito aspettative. D’altra parte, in cosa poteva sperare una rana di tal guisa se non di superare indenne l’uragano in cui si era, suo malgrado, imbattuta? Sicché la rana zen, letteralmente demolita sin nel cuore degli affetti più intimi, cominciò a pregare. Io, che mi trovavo nei pressi l’ascoltai stupefatto. Non immaginavo che un proto-essere di classe subalterna riuscisse a scalfire con una semplice, quanto relativamente banale preghiera l’arci-dura corazza del destino. Eccone uno stralcio …
Oh sublime coscienza,
tu che crei e ricrei la realtà,
tu che sei il principio e lo slancio di tutti gli esseri senzienti
di questo splendido stagno che noi chiamiamo vita,
tu che sai già ciò ch’è giusto che sia,
leggi nel libro aperto della mia mente
e consentimi di rimediare ai miei errori.
Il Dio delle rane, giacche in fondo in fondo proprio di quello si trattava, avvertì che una sua cellula stava lì per lì per cedere e si premurò di salvaguardare se stesso, purificandosi, ossia inspirando gioia ed espirando dolore. Dal canto suo la rana si sollevò e ricominciò a combattere per tutti gli anni che il Tempo stesso le permise.