La rana zen, la conosciamo già, è un outsider. Un personaggio sui generis che segue la via della meditazione. È un povero essere, uno come tanti, in cerca di equilibrio e saggezza, ma pure affetto, comprensione e, soprattutto, giustizia …
La rana zen decise di entrare in politica. Gli amici – si fa per dire – l’avevano così insistita che alla fin fine si era convinta. La collettività – il popolo delle rane zen – ne avrebbe conseguito grandi vantaggi.
“Non ne trarrò profitto personale”, si disse. “Nessun tornaconto. Mi sacrifico per il bene di tutti. Rinuncerò alla privacy”, sentenziò.
Ahi ahi, povera rana zen, ma lo sapeva a cosa andava incontro?
“Propugnerò gli ideali più nobili. Riaffermerò l’identità propria del mio antichissimo popolo. Costruirò giardini. Edificherò templi. Trasformerò il presente. Progetterò il futuro. Innoverò, rinnoverò …
Un momento”, pensò. “Prima d’agire devo recarmi dal maestro e renderlo edotto dei miei nuovi propositi. In genere non contraddice mai nessuno, ma stavolta temo che si pronuncerà”.
La serata era fredda. Il cielo appena appena rischiarato da un falcetto di luna. La brezza cosmica in poppa sospingeva la zattera del pianeta terra verso lidi ignoti.
Giunta al cospetto dell’austero precettore fu assalita da una sottile titubanza reverenziale.
– “Maestro, temo tanto che sarò redarguita, mi sento ingenua”, e gli espose tutto d’un fiato i suoi pensieri.
Invece di adirarsi il maestro cominciò a sorridere, quindi si alzò, le voltò le spalle e andò via. La rana zen si sentì trafitta da uno strale di acuta consapevolezza. Che accadde? Era pronta a dare battaglia, a difendersi, ma quando il maestro si allontanò si ritrovò così sola che caddero pure tutte le sue idee sulla politica.
“La politica è vera nella misura in cui evitiamo d’incontrare noi stessi. Quando sai che tutto è uno, ogni scelta è dettata dalla compassione e le decisioni giuste saranno pure le più ovvie”, ammise.