– “Maestro, quali sono i primi passi verso la meditazione?”, esordì senza preamboli l’immarcescibile e anonimo anfibio dei nostri più riposti e incommensurabili sogni.
– “E’ una domanda scioccante, figliola”, le rispose all’istante il venerabile che qualche attimo prima sembrava quasi dormire. “E’ una vita che mediti, o per lo meno ti atteggi a super-seguace della disciplina che non c’è, quella della non-mente”.
La rana zen si sentì infastidita. Oramai era così disidentificata dal suo corpo che se le accadeva un acciacco dimenticava persino d’assumere la medicina appropriata. Ma riguardo l’imperturbabilità – la disaffezione da ciò che riteneva essere la propria mente – no, era raro che fosse davvero calma. Certo, dopo la meditazione si sentiva serena, ma il silenzio che discende o risorge dallo spirito di essere una con tutti era ancora lontano.
– “Signore”, lo incalzò, “ho meditato d’istinto, seduta, in rispettoso silenzio dinanzi un muro bianco, presumo d’aver esperito dei satori, cioè delle estasi di chiarezza, consapevolezza e benessere quasi inspiegabili, ma se dovessi illustrare la meditazione a un profano, intendo un estraneo, non saprei nemmeno da dove cominciare”.
La rana zen soleva interloquire sempre con il naso all’insù. Sicché quando si decise di scrutare le reazioni del maestro lo percepì lontano, come se non fosse nemmeno presente, silenziosissimo e in … raccoglimento.
Già! Afferrò finalmente l’ingenua. Raccoglimento. Il che non significa non-fare, o concentrarsi e quindi mollare, o contemplare, se non estraniarsi; non significa soprassedere, e così via … Significa solo “stare con se stessi”, raccoglimento.