Ora come ora siamo solo degli emeriti viandanti – inconsapevoli soprattutto di se stessi – che percorrono un sentiero – quello della meditazione – di cui non rammentano bene l’inizio né, tantomeno, ne intravedono la benché minima fine.
Procediamo credendo di conoscere o di scorgere, se non di presagire, un’improbabile meta. In realtà tentenniamo a ogni piè sospinto aggrappandoci a delle idee preconcette, le medesime di cui la contingenza si serve per lenire la sofferenza causata, nostro malgrado, dalla peculiare precarietà che siamo costretti a subire.
Per non parlar poi dell’impermanenza che ci tallona dappresso imprimendo al nostro claudicante incedere le caratteristiche di uno spaventapasseri che bighellona a zonzo, ma sempre al di qua della falsariga di un orizzonte effimero che nemmeno esiste. Ciò che ci sfugge di continuo e a cui aneliamo ogni secondo è un punto fermo in cui credere, con cui identificarci, per il quale vivere e, se necessario, lottare. Un punto che abbia le parvenze della persistenza e della continuità o almeno, sarebbe il massimo, dell’eternità.
Ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di leggere sin qui, del suo coraggio e delle sue buone intenzioni.
Così scrisse la rana zen prima d’incamminarsi canticchiando sulla via che conduce dovunque.