Credi che non si possa più cambiare? Pensi di esser condannato in eterno a vivere una vita da banalissimo “schiavo”? Un numero, un minuscolo e pressoché invisibile ingranaggio, oltretutto di un marchingegno infinito, un consumatore e ora, per giunta, una risorsa umana! Quello di considerare risorse gli esseri umani è il massimo della depravazione culturale. Una società non può basarsi sul sentir comune, sull’informazione finanziata ad hoc. perché tali attività possono essere facilmente manipolate. E dovunque accada, la democrazia è solo a chiacchiere. Le istituzioni diventano pericolosi strumenti di prevaricazione. Uno tra i correttivi che si è tentato finora di apportare a siffatto cumulo di assurde nefandezze è riconoscere un “principio di dignità”; mi riferisco soprattutto al “valore intrinseco dell’esistenza umana”. Nessuno può essere lasciato indietro – trascurato, dimenticato, ignorato – o, ancor peggio, abbandonato a se stesso. Non sto parlando di misure specifiche, ma della propensione che dovrebbe animare qualunque essere senziente di classe umana. Ora una poesia.
Voglia quel cielo…
Rammenti la campagna?
Il verde, i prati, l’erba…
Rammenti l’arancio, il mandarino, il pesco
e – perché no? – il rigoglioso ulivo?
Rammenti l’agrodolce? Poi il pergolato
e i grappoli pendenti di quel mondo
rimasto e confinato tra i ricordi
di una terra andata e sempre più virtuale?
Cos’è, la nostalgia del tempo?
Cos’è questa lacrima sul lembo
che invece di brillar
è quasi calda?
Non so! Voglia quel cielo…
tornar di nuovo a visitare chi
cincischia, finge, ma l’ha tradito.
Tradito i figli, svenduti come servi,
fingendo d’esaudirne i desideri.
Ma l’alba – l’ora, l’attimo, l’istante –
s’appressa qui comunque
e tu, lo voglia o meno, risplenderai…
innumerevoli volte… e per l’eterno.