I cardini attorno a cui ruota ogni meditazione basata sulla consapevolezza sono, fondamentalmente, l’osservazione di ciò che lì per lì accade, soprattutto nella propria mente, o – in alternativa – la contemplazione di un determinato soggetto. Quindi, l’attenzione, ossia la presenza di spirito, la presa d’atto complessiva del momento, nonché della propria vita come una serie di attimi che si succedono a iosa, comporta rapidamente un relativo distacco. Non siamo più identificati passivamente col contesto, ma lo percepiamo come un accadimento vivo, direi sacro, quasi vitale. Ho detto bene, mio dicembre?
No, nient’affatto, hai saltato a pie’ pari l’aspetto più decisivo. Mi spiego senza mezzi termini. Se non hai una mente abbastanza concentrata è inutile cincischiare e speculare sul “qui e ora”. Un conto è l’idea dell’attimo, ben altro una presenza di spirito così puntuale da ricreare con i pixel dell’attenzione che la rappresentano il più trasparente dei mondi possibili.
Tutt’altro che più attenti
Dicembre, oddio, dicembre,
di nuovo, eccolo qui,
tra guizzi, ‘risi e lazzi
a ribadir che ancora
non è cambiato nulla.
Dicembre è sempre identico,
a dire il vero assurdo,
tant’é che stai pensoso
dinanzi il suo trambusto;
l’osservi con sussiego,
rimani un po’ in disparte.
Che tu sia già sull’uscio
proteso sul bel ciglio
o assiso a meditare
sul nulla e poi sul tutto,
che differenza fa se non ne cogli il senso,
l’amor che si riversa su chi non ne ha ben donde,
su chi non prega più, ma osserva con distacco?
Eh già, dicembre, mio dicembre,
ora sei qui, direi quasi felice,
ma noi che ti viviamo
tutt’altro che più attenti.