Esiste una meditazione che non conosce immobilità, una pratica che nasce dal ritmo cadenzato dei passi sul sentiero, dal respiro che si fa più profondo, dal corpo che diventa veicolo di presenza anziché strumento di fuga. Mentre la vita ci presenta i suoi ostacoli con insistenza ciclica, la corsa meditativa ci offre un paradosso fecondo: muoversi per restare, avanzare per radicarsi. Non si tratta di eludere le difficoltà accelerando il passo, ma di incontrare la realtà a viso aperto, lasciando che ogni falcata sciolga le maschere che abitualmente indossiamo. Quegli alberi silenti che sembrano correrci accanto, quel sentiero che si snoda senza fine, diventano specchi di un mistero più grande: forse chi corre non è separato dalla corsa stessa, così come il meditante non è distinto dalla meditazione. E in quel momento di grazia in cui cadono le divisioni, persino l’aria che sferza il volto ci ricorda che la realtà cercata fuori è sempre stata custodita dentro.
La vita di certuni è una fuga, dalle difficoltà, dalle responsabilità più pressanti, dalle incombenze, dagli imprevisti. Eppure, per quanto tenti di evitarli, sono gli eventi che ti vengono incontro, che ti rincorrono. Per quanto tu possa scansarli si ripresentano, forse ciclicamente. V’è rimedio? In realtà la vita è proprio “ciò che accade”. E’ difficile che assuma i colori dell’immaginazione. Che fare? Andarle incontro senza attendere d’esserne comunque travolti! Oggigiorno si tende a puntellare il benessere con la meditazione. Ma se diventa un ulteriore modo per nascondersi non funziona. Per meditare correndo getta via tutte le maschere.
Meditare correndo
Chi sono io,
colui che corre
o la corsa medesima?
Agili, ben piantati, ma protesi sempre all’insù,
il lungo filare si snoda di continuo.
Chi è che corre,
gli alberi sornioni
o il sentiero?
Il tapis roulant dell’immaginazione si muove,
ma tu rimani fermo
mentre ti specchi nell’aria fredda
che ti sferza lievemente il volto.
Insegui la realtà,
ma ce l’hai dentro.
Corri finché le due metà sono tutt’uno.
E filari, sentieri, specchi ideali e persino volti
ammiccano gaudenti.
Epilogo
Alla fine del percorso, quando il respiro si calma e i passi rallentano, comprendiamo che la vera meta non era un traguardo esterno, ma quell’istante di fusione in cui corridore e corsa, cercatore e ricerca, osservatore e osservato diventano una cosa sola. La meditazione in movimento non ci allontana dalla vita, ma ci restituisce ad essa con rinnovata partecipazione, mostrandoci come ogni ostacolo evitato sia in realtà un’invito a fermarci e riconoscere l’unità fondamentale. Forse il segreto era proprio questo: correre non per fuggire, ma per ritrovarsi; muoversi non per distrarsi, ma per incontrare finalmente se stessi nel cuore pulsante del presente. E quando questa verità si realizza nel passo dopo passo, persino gli alberi ai margini del sentiero sembrano sorridere complici, testimoni silenziosi di un’armonia ritrovata.