Un tentativo di descrivere o definire la felicità? Più che altro un improvvisato affresco meditativo. La meditazione – affinché sia davvero fruttuosa, nonché foriera di veri e propri cambiamenti – andrebbe condotta senza motivazioni. Se non altro perché se parti da un’idea fissa, da un obbiettivo, per quanto nobile, ti accompagnerà sempre come un’ombra, un’ancora di salvataggio razionale che t’impedirà di lasciarti andare per accettare la felicità che la vita medesima si premura, così prodigamente, di offrirti. In altre parole, meditazione è cogliere si il frutto della felicità, ma solo quand’è già maturo. Le forzature in proposito sarebbero tutte inutili.
Felicità
E considera vivamente
quanta follia.
La ruota la precede,
la genera, che fai?
Credi davvero che attender
ne fiacchi l’inerzia
finché in un prosaico e dubbioso mattino
l’audacia la fermi da sé?
L’attesa ne procrastina l’evento.
Faresti meglio,
come disse quel saggio dall’ugola d’oro,
a elevare il tuo canto senza voce
fino a scoprirne l’intensità recondita,
nel vento
o nel fruscio, tra lo stormir di tralci, arbusti, foglie
o al cicalio rituale
dei sei scimmieschi usignoli. (i cinque sensi più la mente)
Ma qual é, per te, la parola fine, oh mio Signore?
Piove, le gocce cadon stupite
da sé, nel mare in tempesta,
un oceano infinito d’inconcludenza felice.