Diversi anni fa, quando non sognavo nemmeno l’avvento di internet, non avrei mai immaginato di pubblicare poesie. Scritte solo per gioco, sono divenute via via una raccolta. Ma ciò che più mi meraviglia – nonostante si tratti, soprattutto, di chimere in versi – è l’assiduità e la costanza dei lettori.
Prima di ogni poesia trascorro un breve periodo in meditazione. Dopodiché mi chiedo. Cos’è rimasto, cos’è che ho trattenuto, che rammento? Dietro i veli dell’immaginazione, da cui traspare senz’altro compassione; tra le pieghe del silenzio, da cui emerge particolarmente energia; nei meandri del senza-tempo, da cui affiora, nondimeno, un’intensa presenza di spirito. Briciole, solo briciole …
Briciole
I canti popolari
dalle case, nei ghetti o in strada,
ma sempre nel cuore;
nostalgici sempre come sanno essere veri quelli della gente che soffre
rivelano ancora che poco è mutato.
Poco per la speranza,
poco per la frequenza della mania ossessiva,
poco per la malinconia vile,
per la gioia di essere vivi
e di celebrare il rito solenne della crescita
secondo un’eccentrica parabola.
Poco per le campane in intenso colloquio,
poco per la serena fermezza di chi ha fede
nello sviluppo progressivo della scienza;
poco per tutti noi che raccogliamo
le briciole in mosaico
e sentiamo qualcuno gridare:
ecco la mia opera d’arte.
Le briciole
sono un mucchio di sentimenti bruciacchiati
dal dolore del distacco.
Sono le ceneri del figlio del dio locale,
di qualche macchina
e tanto grigiore;
il senso di una uniformità
inseparabile.