La rana zen credeva nell’eden – cui sarebbe verosimilmente sopraggiunta a seguito della sua pratica elettiva, la meditazione –; credeva che la vita – seppur assumendo di volta in volta innumerevoli forme – proseguisse ad oltranza, non si fermasse mai. La rana zen credeva che la bontà sarebbe stata premiata comunque, che alla fin fine le buone intenzioni sarebbero prevalse sulle malevoli, che l’amore avrebbe sopraffatto ogni forma di odio.
La rana zen credeva che le vittime incolpevoli sarebbero state, prima o poi, risarcite; che i più derelitti, i più perseguitati avrebbero trovato, se non altro, la giustizia divina. La rana zen credeva … fintantoché il maestro, che procedeva silente lungo il viale retrostante il tempio, intento nella periodica passeggiata meditativa, non ne incrociò lo sguardo. E per la rana zen fu subito sera. Cioè divenne buio spirituale. Quella luce che le aveva fatto credere tutto ciò che le faceva comodo si affievolì in un battibaleno.
I suoi occhi si posarono incidentalmente sui ciuffi d’erba che crescevano a caso sul selciato del singolare cammino alberato. Non poté fare a meno di notare che alcune lastre della pavimentazione erano lievemente disconnesse. Il guazzabuglio della vegetazione era riuscito a dissimularne il difetto. Si armò di pazienza per sistemarle alla bell’e meglio finché la sera non sopraggiunse davvero e con essa il silenzio, la luce, l’amore, tutte le gioie possibili.