A proposito di respiro e meditazione, la loro correlazione è piuttosto evidente: l’importanza di prestare attenzione al respiro come modo per coltivare la consapevolezza del momento presente e della propria esperienza corporea. Il respiro è una funzione vitale che spesso diamo per scontata e ignoriamo, ma che può diventare un potente strumento di meditazione se lo osserviamo con cura e gentilezza. Jon Kabat-Zinn usa due metafore per illustrare come si può porre l’attenzione sul respiro: quella dell’animale timoroso che si avvicina con cautela e affetto, e quella della foglia che galleggia sulle onde del respiro, seguendone il ritmo e le pause. In entrambi i casi, si tratta di non interferire con il respiro, ma di lasciarlo fluire naturalmente, senza giudicarlo o modificarlo. L’obiettivo è di percepire il respiro, non di pensarlo, e di entrare in sintonia con esso, come se fosse un amico o un compagno di viaggio. In questo modo, si può sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e del proprio stato d’animo, oltre che una maggiore calma e serenità. Seguono alcune considerazioni dell’emerito sull’argomento.
«Proprio come i suoni non smettono mai di arrivarci alle orecchie, così il respiro non smette mai, finché siamo vivi. In ogni attimo del presente ci troviamo in questo o quel punto del ciclo del respiro, in un’inspirazione o espirazione o nella pausa fra l’una e l’altra; quando pratichiamo la meditazione seduta o sdraiata o in piedi o camminata, o facciamo yoga, dunque, ci arrendiamo alle sensazioni fisiche associate al respiro, sensazioni che di rado riconosciamo o notiamo o a cui diamo peso, a meno di non stare soffocando o annegando o di non avere un brutto raffreddore, tanto diamo per scontato il respiro e ce ne disinteressiamo.
Ora, nel coltivare la consapevolezza del respiro noi poniamo consapevolmente l’attenzione sulle sensazioni relative al respiro stesso; lo facciamo con delicatezza e leggerezza di tocco, permettendo all’attenzione di avvicinare il respiro, come già detto, come se ci avvicinassimo a un animale timoroso che prende il sole in una radura del bosco: con quello stesso genere di delicatezza e di interesse, furtivi ma soprattutto con affetto.
Oppure, per evocare un’altra immagine, lo facciamo posando l’attenzione sul respiro come una foglia si posa fluttuando sulla superficie di uno stagno e lì rimane: lo lasciamo galleggiare sulle onde del respiro a mano a mano che questo si muove, entra ed esce dal corpo, in contatto con l’intera durata di ogni respiro che entra, in contatto con l’intera durata di ogni respiro che esce e con le pause all’inizio e alla fine, all’apice e alla base, all’apogeo e all’ipogeo di ognuna delle piene oscillazioni di ogni singolo respiro. Non si tratta di pensare al respiro o alle sensazioni che dà quanto piuttosto di percepirlo, di galleggiare sulle onde del respiro come una foglia, o come su un gommone sulle increspature di un mare calmo o di un lago. In questo modo ci si abbandona completamente alle sensazioni del respiro, attimo dopo attimo dopo attimo.
Fidati. Le foglie non cadono fluttuando proprio in questo modo?
Abbandonandoti al respiro, dando scopo e costanza alla tua attenzione attimo dopo attimo, inviti la sensazione di un osservatore che osserva il respiro a dissolversi nel puro e semplice respirare. Il soggetto (tu) e l’oggetto (il respiro, o perfino «il mio respiro») si dissolvono nel puro e semplice respirare, in una consapevolezza che non ha nessun bisogno che «tu» la generi perché conosce già il respiro nel suo svolgersi, al di là del pensiero, al di sotto del pensiero, prima del pensiero, proprio come abbiamo visto per l’udito. Seduti qui a respirare, c’è solo questo preciso istante, solo questo respiro, solo questa conoscenza non concettuale. E’ il corpo intero a respirare: la pelle, le ossa, tutto, dentro e fuori, ed «è respirato» almeno quanto “respira”, al di là di ogni pensiero che ci potrebbe venire in mente a riguardo.
Seduti qui in pace noi siamo il respiro, siamo la conoscenza, attimo dopo attimo (ammesso che ci siano ancora attimi), respiro dopo respiro (ammesso che ci siano ancora i singoli respiri), a gustare il respiro, a odorare il respiro, a bere il respiro, lasciandoci essere respirati, essere toccati dall’aria, carezzati dall’aria, fondendoci con l’aria nei polmoni, attraverso la pelle: aria dovunque, respiro dovunque nel corpo, conoscenza dovunque, e anche in nessun posto.
E naturalmente, come in tutte le altre pratiche, ritorni di continuo al respiro quando la mente se ne va a zonzo nei pensieri, nei ricordi o nelle anticipazioni, nelle storie più svariate, nelle storie persino sul fatto che stai meditando e sei una cosa sola con il respiro e che non c’è più alcun «io» che respiri.»
(Da: Jon Kabat-Zinn – Riprendere i sensi. Guarire se stessi e il mondo attraverso la consapevolezza)
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– Jon Kabat-Zinn (macrolibrarsi)
– Jon Kabat-Zinn – Wikipedia
– Mindfulness – Wikipedia