Che significa “non agire”, forse astenersi? Così, di punto in bianco, simmetricamente al non-agire citato nei seguenti appunti di Jon Kabat-Zinn, mi sovviene la pratica taoista del wu wei, ossia dell’agire senza agire. In entrambi i casi non implica, ovviamente, che si debba rimanere passivi e col naso all’insù ad attendere che le cose accadano o si compiano e che qualche provvidenziale sostituto si prodighi indefessamente all’uopo. Al contrario, non-agire corrisponde a fluire – consapevolmente – con le circostanze. Adoperarsi, ma senza permettere che l’ego s’intrometta alterando l’ordine naturale degli eventi. La prospettiva esistenziale egoica è quasi sempre relativamente distorta. Mentre la prassi abituale dell’ego è dissimulare – con artefatti atteggiamenti compassionevoli – istanze, se non interessi, del tutto ingannevoli, il paradosso del non-agire è, al contrario, realizzare i propri obiettivi senza interferenze fuorvianti […]
«È difficile per gli americani apprezzare il sapore e la pura gioia dell’inattività, dato che la nostra cultura attribuisce un così grande valore all’agire e al progresso. Anche i nostri periodi di riposo sono tendenzialmente attivi e irriflessivi.
La gioia del non-intervenire risiede nel fatto che non occorre che accada altro perché questo momento sia completo. La saggezza ivi contenuta e l’equanimità che ne deriva consistono nella convinzione che sicuramente qualcos’altro succederà.
Quando Thoreau dice: «Era mattina e – guarda! – ora è sera e nulla di memorabile è stato fatto», per la gente intraprendente e orientata verso il progresso è come agitare un drappo rosso davanti a un toro. Ma chi può dire che le sue riflessioni su un mattino trascorso sulla soglia di casa siano meno memorabili e valide che una vita dedita agli affari, vissuta con scarso apprezzamento per la tranquillità e la fioritura del momento presente? Thoreau cantava una canzone che doveva essere ascoltata così allora come oggi.
E tuttora indica continuamente, per chi è disposto ad ascoltare, l’importanza profonda della contemplazione e del non attaccamento a qualsiasi risultato diverso dalla pura gioia di esistere, «di gran lunga migliore di qualsiasi prodotto della mano umana».
Questo concetto richiama alla mente il vecchio maestro Zen che diceva: «Oh! Oh! Per quarant’anni ho venduto acqua presso il fiume e tutto il mio lavoro è stato inutile».
Queste riflessioni sono indubbiamente paradossali.
Ma l’unico modo per realizzare qualcosa di valido è far sì che provenga dal non-agire, senza preoccuparsi se sarà utile o meno.
Altrimenti l’autocoinvolgimento e l’avidità possono insinuarsi e distorcere il rapporto col lavoro o il lavoro stesso, rendendolo inconcludente, condizionato, impuro e in definitiva non del tutto soddisfacente, anche se ben riuscito.
Tutti gli scienziati conoscono questo stato mentale e mettono in guardia, perché inibisce il processo creativo e distorce le capacità personali di vedere con chiarezza le connessioni.»
(Da: Dovunque tu vada, ci sei già. Una guida alla meditazione – Jon Kabat-Zinn)
– Jon Kabat-Zinn (macrolibrarsi.it)
– Jon Kabat-Zinn – Amazon
– Jon Kabat-Zinn – Wikipedia
– Mindfulness – Wikipedia