Qual è il vero motivo per cui ti avvicini alla meditazione? Trarne esclusivi benefici personali, o confidare nella possibilità, per nulla remota, di riuscire a essere d’aiuto soprattutto ad altre persone? Anche se la differenza sembrerebbe piuttosto sottile, di fatto è la distanza tra favorire il primato dell’ego o, al contrario, privilegiare le pulsioni più consapevoli e armoniche dell’esistenza… Ad ogni modo esaminiamo un po’ più nei dettagli il pensiero di Charlotte Joko Beck …
«Se siamo sinceri, dobbiamo ammettere che ciò che vogliamo davvero dalla pratica (soprattutto all’inizio, ma in certa misura anche in seguito) è la capacità di vivere meglio. Speriamo che, con una pratica sufficiente, ciò che adesso ci infastidisce o ci preoccupa non ci disturbi più. Alla pratica ci si può avvicinare in due modi, che è bene spiegare dettagliatamente. Il primo modo, che lo ammettiamo o no, è ciò che pensiamo che la pratica sia; il secondo è ciò che la pratica è in realtà. Col tempo passiamo gradualmente dal primo modo al secondo, anche se il primo non viene mai abbandonato del tutto. Noi tutti ci troviamo in un qualche punto lungo questo continuum.
Il primo modo di avvicinarsi alla Meditazione
Se partiamo dal primo modo, l’atteggiamento di base è quello di intraprendere questa pratica difficile ed esigente perché speriamo di ricavarne alcuni benefici personali. Forse non li pretendiamo tutti subito, abbiamo un po’ di pazienza, ma, se dopo qualche mese non vediamo miglioramenti nella nostra vita, ci sentiamo ingannati. Ci diamo alla pratica con l’aspettativa, o la richiesta che la pratica si occupi dei nostri problemi. La richiesta di fondo è di essere più a nostro agio e più felici, di essere più in pace e sereni. Ci aspettiamo di non dover provare più quei terribili sentimenti di irritazione e di ottenere ciò che desideriamo. Ci aspettiamo che la nostra vita diventi più gratificante, che non sia più inappagante. Vogliamo più salute, più agio. Vogliamo più controllo sulla nostra vita. Immaginiamo di poter essere gentili con gli altri senza che ci risulti scomodo.
Alla pratica chiediamo sicurezza e la capacità di ottenere sempre meglio ciò che vogliamo: se non si tratta di fama e di denaro, qualcosa di abbastanza vicino. Anche se non vogliamo ammetterlo, vorremmo che qualcuno si prendesse cura di noi e che le persone attorno a noi agissero per il nostro bene. Vogliamo riuscire a creare condizioni di vita piacevoli, ad esempio il rapporto giusto, il lavoro giusto, il corso di studi migliore. Vorremmo essere capaci di risolvere la vita delle persone con cui ci identifichiamo.
In tutto ciò non c’è niente di sbagliato, ma, se pensiamo che questo sia il fine della pratica, non l’abbiamo ancora capita. Le richieste riguardano sempre ciò che noi vogliamo: noi vogliamo essere illuminati, noi vogliamo essere in pace, vogliamo serenità, vogliamo aiuto, vogliamo il controllo sulle cose, vogliamo che tutto fili al meglio.
Il secondo modo di avvicinarsi alla Meditazione
Il secondo modo è molto diverso: vogliamo essere sempre più in grado di favorire la crescita e l’armonia per tutti. Anche noi siamo inclusi nella crescita, ma non ne siamo il centro, siamo solo un elemento del quadro. Mentre questo secondo modo si rafforza in noi, cominciamo a provare gioia nel servire gli altri, e siamo sempre meno preoccupati se il servizio reso agli altri interferisce con il nostro benessere personale. Iniziamo a cercare le situazioni (lavoro, salute, rapporto) più adatte al servizio. Non sempre sono le situazioni più piacevoli, ma la cosa che ora riteniamo più importante è che ci insegnino a servire la vita bene. Un rapporto difficile, ad esempio, può essere estremamente fruttuoso.
Più adottiamo il secondo modo, più impariamo a servire tutti, non solo quelli che ci piacciono. A poco a poco aumenta l’interesse per la responsabilità verso la vita stessa, e non vogliamo più che siano gli altri a sentirsi responsabili verso di noi. Anzi, diventiamo disposti ad assumerci la responsabilità anche verso coloro che ci trattano male. Diventiamo disponibili a sperimentare situazioni difficili per imparare, pur senza preferirle.
Mentre camminiamo in direzione del secondo modo, probabilmente conserveremo le preferenze che costituivano il primo modo. Continueremo a preferire di essere felici, a nostro agio, in pace, in salute, di ottenere ciò che desideriamo, di avere un certo controllo sulle cose. La pratica non ci fa perdere le nostre preferenze. Ma, quando una preferenza si oppone a ciò che è più fruttuoso, saremo disposti a lasciarla andare. In altre parole, il fulcro della nostra vita passa dall’interesse per noi stessi all’interesse per la vita. Noi siamo compresi nella vita, il secondo modo non ci ha cancellati. Ma non siamo più il centro.»
[ Da: Charlotte Joko Beck, “Niente di speciale. Vivere lo zen“ ]
– Charlotte Joko Beck (macrolibrarsi)
– Charlotte Joko Beck (amazon)
– en.wikipedia – Joko Beck