Non è la prima volta che affronto il tema delle religioni organizzate. Sembrerebbe quasi il light motiv di queste riflessioni. Ogni volta mi chiedo, sarò stato sufficientemente chiaro? Avrò esagerato? In fin dei conti le strutture religiose conducono importanti attività d’assistenza. Spesso sopperiscono alla latitanza della compagine pubblica. E’ vero, ma basta solo questo per dover ascoltare all’infinito la propaganda religiosa ufficiale, oppure non sarebbe il caso che lo Stato si facesse carico, soprattutto tramite il volontariato, di risolvere le più ricorrenti situazioni di disagio sociale?
Propaganda religiosa
Nel corso della storia accadde sovente di subire truci e fosche propagande. Non mancarono nemmeno spietate ed insulse suggestioni repressive. Gli esempi di condizionamenti o persuasioni ideologiche irrazionali furono numerosi quanto ridondanti. Ma uno in particolare svettò – e persiste tuttora – sugli altri. L’insolente quanto arrogante pretesa di essere i “mediatori” tra Dio e la sua creazione. Il problema è che gli indottrinamenti sociali che ne discendono – basati su illogicità e insensatezza – e avallati dall”uso ambiguo dell’abilità dialettica, possono falsare l’oggettività e cagionare, se male interpretati, sofferenze psicologiche o fisiche inenarrabili.
Purtroppo la prassi di distorcere a proprio vantaggio la realtà è un espediente molto diffuso tra le varie sette e consorterie religiose organizzate. Non vi sembra che il loro coinvolgimento con i più svariati interessi economici sia eccessivo? Per coinvolgimento intendo l’innegabile fervore d’incrementare la consistente sequela di finanziamenti pubblici di cui già godono. E l’amore incondizionato per il prossimo, l’uguaglianza, la compassione e il rispetto per tutti gli esseri viventi? Il tradimento d’ideali e principi – in relazione agli insegnamenti originari dei vari maestri spirituali predecessori, fondatori, o ritenuti tali – fu palese, conclamato. Un raggiro perpetrato tanto nel Cristianesimo come nell’Induismo, ecc.
Dottrine
Ben differente è la situazione della dottrina buddhista. Infatti, il Buddha storico Gautama Siddharta, chiese espressamente ed esplicitamente di non tener conto della sua predicazione perché egli non era un Dio, ma un uomo comune. Suggerì, quindi, di ricercare la luce innanzitutto dentro se stessi senza affidarsi ciecamente ai cosiddetti testi sacri.
“Credere in una dottrina significa perdere la libertà. Diventando dogmatici, si pensa che la propria dottrina sia l’unica giusta e si accusano le altre di eresia. L’attaccamento alle opinioni è il massimo ostacolo al sentiero spirituale. Benché il mio insegnamento non sia un dogma né una dottrina, certo alcuni lo intendono così. Devo spiegare chiaramente che insegno un metodo per sperimentare la realtà, e non la realtà medesima, così come un dito che indica la luna non è la luna. Una persona intelligente seguirà la direzione indicata dal dito per vedere la luna, ma chi vede soltanto il dito e lo scambia per la luna non vedrà mai la luna reale. Io insegno un metodo da mettere in pratica, non qualcosa in cui credere o da adorare. Il mio insegnamento si può paragonare a una zattera che serve ad attraversare il fiume. Solo uno stolto rimarrà abbarbicato alla zattera una volta che sia approdato all’altra sponda, alla sponda della liberazione”. (Da: “Vita di Siddharta il Buddha” di Thich Nhat Hanh. Narrata e ricostruita in base ai testi canonici pali e cinesi)
Tra spiritualità e religione
La spiritualità, argomento prevalente di queste riflessioni, non ha un credo, non è una fede. Si basa innanzitutto sul buon senso, sulla ragionevolezza. I quesiti così formulati – Da dove veniamo? Perché siamo al mondo? E quale futuro attende l’uomo e la terra? – sono prettamente filosofico-scientifici. Le convenzioni sociali, le regole invalse, le norme accettate, i patti, le intese morali, le consuetudini – come abitudini e tradizioni –, le esperienze evocatrici interiori – come le funzioni cerimoniali –, non sono per nulla elementi spirituali. Pratiche esoteriche rituali, miracolistica, tutto ciò che si richiama a fenomeni soprannaturali non è, pertanto, religione o spiritualità, ma appartiene al dominio mentale. La spiritualità non va confusa con gli apparati scenici. Essa si occupa di trascendenza e la via più breve ed ovvia per esperire la trascendenza è l’osservazione di se stessi, della propria interiorità, ossia la meditazione.
Tuttavia, se le intuizioni della trascendenza possono dirsi religione, non è altrettanto vero per i loro risvolti sociali. Volerli generalizzare ed applicare indistintamente a tutti i componenti di quella grande famiglia che è la società nel suo insieme equivale a comprimere il raziocinio, limitare le libertà individuali, opprimere la saggezza, reprimere l’amore, la bontà, l’espressività.
Molti pensano che esaminare la religione alla luce delle teorie scientifiche significhi romperne l’incantesimo e provocare una catastrofe. È la posizione di chi non è vero credente ed è convinto del fatto che la morale, la sicurezza pubblica o altre cose importanti non starebbero in piedi senza lo «show» della religione, cioè le credenze, i rituali, gli ornamenti e le gerarchie delle religioni organizzate. La maggior parte dei religiosi sono «fedeli alla fede», più che a Dio. (Riflessioni del filosofo Daniel Dennett su Panorama del 07-02-2007)
Di converso, nessuno dovrebbe prescrivere o imporre scelte necessariamente laiche a chi volesse seguire in ogni caso le proprie inclinazioni religiose.
Conclusione
Riconosco che se non avessi assistito all’attuale recrudescenza della propaganda religiosa irrazionale, avrei evitato di approfondire ancora queste tematiche. In effetti si tratta di argomenti controproducenti che non aggiungono quasi nulla alla ricerca del vero, o se preferite, del giusto, del buono, del bello, di ciò che è. Semmai distolgono, rendono disattenti. Il solo orizzonte spirituale che merita impegno è l’osservazione delle proprie reazioni, ma in silenzio, senza valutare o giudicare. Dapprima la sequela dei pensieri si succede ininterrottamente. Poi sopravviene una breve pausa. Successivamente l’impercettibile frangente si espande sino a divenire viepiù calmo e tranquillo, luminescente. E trasformarsi infine nella stupefacente intuizione dell’unica compassionevole reciprocità. Il resto sono solo giochi dell’ego.