La rana zen, dopo una giornata di duro e faticoso lavoro si recò, mogia mogia, dal suo mentore per rilassarsi e ritemprarsi con un po’ di meditazione. Un’oretta di silenzioso raccoglimento. L’appuntamento era divenuto, col tempo, una sorta di consuetudine. È probabile che se non si fosse impegnata così tanto sulla via interiore si sarebbe persa.
Sì sarebbe persa tra i meandri della vita. In qualcuno degli innumerevoli vicoli ciechi che le circostanze frappongono fra noi stessi e la realizzazione. Che tutto è uno?
“Maestro, in realtà non so cosa chiedere”, argomentò la rana una volta al cospetto dell’esimio venerable che stimava più di ogni altra cosa al mondo.
Quegli, incuriosito dallo stato d’animo relativamente precario della sua discepola, la fissò con insistenza sino a farla arrossire. E pensa che per imbarazzare una rana ce ne vuole!
“Maestro, non so proprio che dire”, reiterò la rana.
“Bene, allora taci”, replicò sorridendo il maestro.
Dapprincipio i minuti sembrarono eoni, ma proseguendo nella meditazione le nubi pensiero si dissiparono come non mai. In effetti quella sera il cielo lasciava stupiti. I raggi della luna accarezzavano persino le ombre. Al punto che la rana si sentì via via sempre più coinvolta. “Sogno o son desta?” si chiese. Sta di fatto che i sogni si mescolavano alla realtà in un unicum pressoché inscindibile.
“Maestro continuo a non capire e non sapere”, ripeté la rana. “Offrimi una traccia”.
“Se lo facessi sarebbero comunque appigli mentali”, replicò il venerabile.
“Comprendo, ma di questo passo resterò sempre dove sono”, insisté la creatura che si definiva rana.
“Beh, credo di essere in debito con te”, proclamò il maestro. “Tutto ciò che devi realizzare è la mente-non-so. Tuttavia ci sei già, figliola, forse non te ne rendi conto”.
La rana assentì. Il suo mondo si fece blu, verde. Acquistò i colori dell’iride. Il frastuono dell’ambiente assunse il ritmo del silenzio. La diletta non capiva, eppure il suo raziocinio ruzzolava dovunque. “Ecco – ribadiva – non-so, non-so”. Le presunzioni residue svanirono. L’arroganza si dileguò. Rimanemmo io e te, caro lettore. Io che provo a farmi comprendere, tu che m’ignori e viceversa. Qual è il motivo per cui la mente-non-lo so vien detta meditazione? Anche se prima o poi lo scoprirai da solo, ti anticipo qualcosa. La mente ‘non-lo-so’ – che non ha nome né forma – è parente stretta del vuoto. E il vuoto è la somma di tutta l’energia, di questo come degli altri mondi. Conservala piu’ a lungo che puoi …