La rana zen – una tra le postulanti più pervicaci che si possa avere mai la fortuna di conoscere sull’incomparabile via della meditazione – ha un colloquio con il Buddha storico durante cui gli pone la fatidica domanda: esiste Dio?
Gira e rigira e venne il giorno in cui la rana Zen, lo straordinario polimorfo anfibio che ci accompagna in questo strano tour pellegrino nei meandri – ossia nel labirinto – della propria coscienza, incontrò niente po’ po’ di meno che, indovinate un po’, il Buddha storico, proprio lui, Gautama Siddharta in persona. Quale fosse stavolta lo scopo della sua ennesima visita resterà probabilmente un mistero. La rana ci ha raccontato solo l’essenziale, in pratica ha parlato solo del suo incontro, delle domande che gli pose, delle pseudo-risposte ricevute. Dovremmo crederle? Non saprei, tentar non nuoce.
Ebbene, mentre la rana si trovava nell’abituale giardino zen creato con tanta cura, sebbene con pochi mezzi, ne intravide la splendida figura stagliarsi nell’orizzonte immacolato del finto sentiero che, tuttavia, non conduceva proprio da nessuna parte. Sì, si fermava contro la staccionata che delimitava il giardino; una sorta di percorso, ma senza via di fuga, concepito per indicare che la meditazione – come la vita – non conduce a nulla, è un’avventura fine a sé stessa.
Ho tergiversato abbastanza. Veniamo al sodo. Non appena esauriti i doverosi convenevoli di rito la rana zen chiese al Buddha: “Maestro, luce di luce, esiste Dio?”.
Il Buddha, di rimando: “Sorella, siamo soli?”.
Senonché il colloquio divenne pressoché serrato: “Sì, siamo in due”, replicò la rana.
“No, siamo Uno”, argomentò la sublime eminenza con il più radioso dei sorrisi giammai intravisti su questo suolo antico.
Sostenere che la rana Zen sia rimasta di stucco, pietrificata, di marmo, ma bianco e rosa come quello visto sull’ultima stella che aveva testé sognato, sarebbe quasi il minimo …
Già, “siamo Uno”, comprese la rana salutando il candore del Buddha con tanta di quella gratitudine che l’unica pianta che si era potuta permettere nell’umile giardino, quella dei gelsomini, fiorì in autunno, una curiosa e tiepida domenica in novembre.