“Voglio credere che i miei problemi si risolveranno nel migliore dei modi, che la mia vita subirà una svolta, che le mie sofferenze si dissolveranno come neve al sole, che riuscirò a meditare con costanza e, senza meno, approfondirò il mio insight, la mia meditazione. Voglio credere che riuscirò a risanare ogni pendenza, che la mia salute diverrà lo specchio della mia anima … e quand’anche, l’anima, non l’avessi proprio, che avrò il coraggio di esplorare il mio vuoto interiore sino al nucleo più profondo di ciò che presumo sia l’essenza … e riscoprire, finalmente, il mio volto originale … che tuttavia non mi appartiene. Spero che la fioritura del loto dai mille petali voglia, quanto prima, ricompensarmi”, disse la rana zen all’aria tersa, rivolta al più splendido cielo turchino cui un senza-mente si fosse mai prostrato.
Fatto sta che mentre la rana declamava con timbro stentoreo i suoi, pur nobili propositi, un gatto, anch’esso zen, probabilmente un maestro in incognito, incuriosito dalla strana vicenda, pensò bene di dare una mossa alla sua graziosa e originale, ma sognante amica. Come smuoverla, come farla regredire a più miti consigli? L’esaltazione mistica di quella benedetta rana era quasi al culmine. Ebbene, il gatto – o il fato? – le attraversò la strada, per l’esattezza il vialetto che percorreva a zonzo. La rana vacillò. Si ritrovò orizzontale, supina, pesta e malmessa. Di punto in bianco le sue speranze crollarono. Quei reiterati “voglio credere” collassarono. La sua autosuggestione ipnotica implose. Si volse e vide il gatto in umile attesa. Era lì! Allora la rana guardò senza cercare, contemplò un’idea … che però non c’era. Fissò un punto, ma senza pretendere di trasformarlo. “Che bisogno c’è di crederci?”, si disse. E fu subito luce.