Una volta avevo un gatto che – come accade sovente nel mondo dei felini zen – era un vero e proprio maestro di meditazione. Innanzitutto non riuscivo a capire dove trovasse così tanta pazienza. Il suo distacco era davvero proverbiale. Mentre un manipolo di odiosi topi aguzzini lo tartassava d’insulti, lo costringeva alle più penose privazioni riducendolo sovente pressoché alla fame, quegli li osservava con disgustato sussiego, poi socchiudeva gli occhi riparando nel mondo dello spirito ancestrale dei gatti che per vendicarsi sognano d’annientare topi su topi.
Si sa, i gatti zen uccidono solo nei sogni. Ma il nostro caro amico meditante tentava di superare persino quelli. Ne osservava le spettacolari cornici, le ambientazioni. Tra sé e sé tuttavia si diceva che all’occorrenza avrebbe senz’altro reagito, si sarebbe fatto valere. Ma poi, all’atto pratico, non torceva un capello a nessuno, nemmeno al più acerrimo degli agguerriti ratti predatori che minacciavano finanche i più alti scanni della sua pur antica e nobile dimora.
– “Ahimè, gatto zen, in quale maledetto guaio ti sei cacciato!”, sentenziò lo scrittore.
In realtà la storia è verissima, Se al posto del gatto ci metteste anche l’ultimo dei più derelitti il fotofinish di questa società sarebbe perfetto.
Sennonché un bel mattino – “o triste?”, dipende dai punti di vista – l’orgogliosissimo gatto zen dei nostri più reconditi sogni, si levò, ammirò il sole e si disse, “d’ora innanzi sarò duro coi duri”. E invece di sognare di essere divenuto finalmente buono scelse il coraggio, ruggì, ma prim’ancora che potesse degustare almeno uno di quegli onorevoli miserabili topi, l’intravide defilarsi rapidi come fulminee iperstellari saette.
Morale del gatto zen: buono coi buoni, duro coi duri, sempreché centrato.
Morale dell’autore: se non hai coraggio, sarà meglio che tu faccia l’eremita.