“Maestro, a proposito dei tuoi insegnamenti sulla vacuità – chiese la rana zen all’inossidabile e austero precettore –, com’è che si medita sul vuoto?”.
“Ovviamente non cerco elucubrazioni teoriche – proseguì la medesima –, né, tantomeno, architetture ultraterrene che interpretino la realtà dei fatti o giustifichino il mio comportamento. A me interessa il metodo: come, quanto e quando. Il resto lo lascerei ai perditempo, agli strafurbi, agli illusi e ai timorati, coloro che paventano finanche la vita, qualunque sembianza, sia pur effervescente, assuma; forse persino quella della gioia”.
Invece di risponderle, il maestro cominciò a osservarla di proposito, a studiarla, a scrutarla. Nel corso dei suoi lunghi anni di apprendistato meditativo la rana aveva subito anche di peggio. Ora, però, non capiva. Sembrava quasi che il maestro la vedesse per la prima volta.
“Che avrò chiesto di così sbagliato?” concluse.
Come se le avesse letto il pensiero, il venerabile l’apostrofò: “Chiedi qualunque cosa ti passi per la mente, proverò ad aiutarti. Tuttavia, non limitarti al presente. Raccontami pure i tuoi più fervidi, purché inerenti, dubbi, quesiti, domande del passato. Figliola, su con la postura, Sii più dignitosa, lo meriti. Ti aiuterò senz’altro. Lo desidero vivamente, ma innanzitutto dimmi, è essenziale. Chi è che pone le domande? Chi è che ha bisogno di metodi? – quindi proseguì – Chi è che indaga, chi è che cerca?”.
La sala del Tempio in cui si trovavano fu trafitta da sottili raggi di luce filtrati dalle ampie porte-finestre che la separavano dai corridoi, dalle balaustre, dai ballatoi limitrofi. La luce evidenziava così bene il pulviscolo presente che la sua danza sembrava surreale. Il cielo interiore della rana, a sua volta, s’illuminò.
“L’ego, maestro. È l’ego che chiede, pone le domande e ha bisogno di tecniche, di metodi”.
Il maestro rimase indifferente. Tuttavia la rana – che ne percepiva le pur minime sfumature fisiognomiche – trasalì lo stesso.
“Sì, ma l’ego è un’entità surrettizia, è solo l’interfaccia con cui ci rapportiamo al mondo. Non affibbiargli così tanta importanza. Altrimenti lo alimenti, lo ricrei di continuo. Quando la mente si volgerà all’interno, solo allora comincerai a disidentificarti da questo e da quello. Che rimarrà? Va dentro, tutto qui!”, concluse con la semplicità che gli era propria, il venerabile.
La discepola si accomiatò – mogia mogia, ma nel contempo felice – con un premuroso, dolcissimo inchino.