E se il silenzio non fosse un vuoto da riempire, ma un vivo simulacro da ascoltare? La meditazione non chiede di rifuggire dal mondo, né di dominarlo: invita a soffermare lo sguardo su ciò che pulsa già, invisibile eppur presente, nel respiro sospeso tra un pensiero e l’altro. Scrivere versi, allora, diventa un atto sacro — non un ornamento. Ogni parola scolpita nel bianco della pagina è un passo lungo quel sentiero interiore dove il tempo si flette, si confonde, si dissolve. Non serve cercare l’estasi: basta accorgersi che l’eternità si annida nell’attimo in cui una rosa bianca incontra il ricordo di un profumo, o quando un addio si trasforma, senza clamore, in un ritorno che non è mai stato assenza. La pratica meditativa, qui, non è postura né mantra: è il coraggio di lasciar fluire ciò che sorge, senza giudizio, senza fretta — come chi ascolta il vento sapendo che non gli appartiene, ma lo attraversa.
Cimentarsi con una nuova poesia? Mi sembra la migliore meditazione possibile. I versi che scaturiscono dal nulla danno il polso di un’esistenza che talora tentenna, talaltra tergiversa, dopodiché riprende il suo cammino tracciando un circolo senza inizio né fine.
Quando ritornerò
Quando ritornerò, amore mio
mi piacerebbe ritrovarti così,
come sei ora,
tra gigli, rose bianche e quel profumo
che se un Dio dovesse mai inventarlo
sarebbe come il tuo.
Quando ritornerò, sì, ma ora sto partendo
e ciò che lascio è simile all’aurora,
è come l’alba prima che dispieghi
la luce chiara di un orizzonte effimero
che sembra lieve, ma è solo fantasia.
Quando ritornerò, chissà, tra un po’, domani o qualche vita,
tu mi riconoscerai per quell’abbraccio
che sa di fiori non appena colti.
Quando ritornerò, che dico, son sempre stata qui.
Epilogo
E così, il viaggio non finisce mai — perché non è mai davvero iniziato. Il ritorno che cerchiamo è già qui, nascosto nell’abbraccio che non abbiamo mai smesso di dare, nel profumo che non ha mai smesso di accompagnarci. La meditazione, in fondo, è solo questo: smettere d’inseguire l’orizzonte per accorgersi che l’orizzonte siamo noi. I versi non aggiungono nulla: svelano. Non costruiscono mondi: rivelano quelli che abitiamo già, senza saperlo. E se un giorno tornerai — o forse, semplicemente, ti volterai — troverai te stesso, non altrove, ma esattamente dove hai sempre respirato, amato, taciuto. Senza partenze, senza arrivi. Solo presenza.