Qualche anno fa scissi una certa poesia a cui assegnai il titolo meditazione. Ora mi sono sentito di attribuire a questi ennesimi versi – scaturiti, come sempre, durante un periodo di particolare sollecitudine esistenziale – l’appellativo meditare. Come ho ripetuto più volte, in realtà la meditazione è un accadimento. Per quanto possa applicarti al tuo specifico esercizio o approccio – e ve ne sono tanti – non v’è nessuna garanzia che l’evento cosiddetto meditazione possa verificarsi davvero. Ma siccome la scelta è tra il vivere una vita caratterizzata dall’inconsapevolezza e della dimenticanza o in alternativa meditare comunque, ossia contemplare, pregare, se non dedicarsi al prossimo, credo sia meglio insistere. Un giorno potrebbe piovere all’incontrario, le nuvole emanare luce e tu ritrovarti, per l’appunto, in meditazione.
Meditare
Eccolo,
senza che l’avessi nemmeno chiamato,
senza neppure averlo più sperato,
eccolo infine, il quid (1) si manifesta.
Sicché ti volgi intorno e la vita ti sembra tutto un colore
fin quando la sintonia che avevi appena appena colto
non svanisce da sé
nel breve arco di tre fantastici giorni.
Che posso dire, che posso fare
per reiterare quell’esperienza sublime?
Atteggiarmi, pregare, meditare, rinunciare, …
Com’é che accadde?
Il fatto è che la presa
si era mollata da sé.
Per quanto credo d’aver capito,
tu esegui i tuoi compiti (2)
mentre la vita si occuperà del resto.
(1) Con lessico zen, si potrebbe trattare di un satori.
(2) Contemplazione, meditazione, ma pure preghiera, se non rinuncia e, soprattutto, volontariato.