L’ostacolo finale è la convinzione che ci sia un ostacolo. (Poonja)
Un’affermazione del genere sembrerebbe piuttosto retorica e invece ha complesse radici esistenziali. Tentiamo di chiarire. Cos’è l’ostacolo finale? E’ la ritrosia a cambiare, ad abbandonare il proprio habitus mentale, le molteplici identificazioni con tutto ciò che c’è di più familiare, con cui siamo perfino assuefatti. Bene, ma che comporrebbe questo cambiamento? Inoltrarsi sulla via della consapevolezza, sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda dell’infinito, di ciò che in effetti c’è già, ma è ricoperto da un’immane coltre di paraventi artificiosi, scorie ammucchiate via via quali finte credenze, pregiudizi, i più bizzarri costrutti dell’egocentrismo. Ok, cos’è dunque che in effetti temiamo? La nostra vera essenza, il nucleo della personalità, noi stessi.
La dura verità, quella più difficile da riconoscere e accettare è che noi siamo, in genere, innamorati dell’abitudine, della routine, direi persino della sofferenza. Siamo segretamente attratti dall’inconcludenza. Giriamo e rigiriamo attorno ad un nucleo di gioia e benessere, ma lo sfioriamo appena. Pur di evitare questa sorta di rendez-vous spirituale immaginiamo una specie di barriera insormontabile tra la periferia che soffre e si arrabatta da una parte e il centro di luce lassù o se preferite quaggiù, ma pur sempre drasticamente discosto.
Tuttavia il problema non è la credenza in sé. Che una determinata persuasione o convinzione o certezza possa influenzarci oltremisura non ci sono dubbi. La difficoltà è l’approccio all’ipotetico ostacolo finale. La verità, piaccia o meno, è che noi non ci applichiamo abbastanza: non siamo per nulla concentrati o, se preferite, non preghiamo col giusto cipiglio; non contempliamo affatto i pensieri che si sovrappongono l’un l’altro creando fantasmagorici crocevia di ricordi; non osserviamo a sufficienza il nostro stesso principio vitale, il respiro …
Non affermo che con il “fare”, ossia con il “meditare” – per quanto accurata e impegnativa sia la dedizione – realizzeremo direttamente la coscienza originaria. Il passaggio intermedio è sempre l’incontro con il “non-fare”, uno strato di pura quiescenza, la dimensione dell’essere. Saremo semplicemente lì e la nostra volta interiore coinciderà con quella dell’intero universo. Lievi barlumi della luce primordiale si approssimano. Potremmo distinguerli sin d’ora.