“Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona”. (Carl Gustav Jung)
Un motto di spirito che nell’alveo del panorama religioso sembrerebbe piuttosto scontato. La consapevolezza dell’interdipendenza, la constatazione dell’impermanenza, ci sospingono entrambe verso reciprocità e compassione. Anche se l’amore per il prossimo è pur sempre l’altra faccia della medaglia dell’amore per se stessi, quindi una sorta di narcisismo capovolto, rimane la constatazione che gli effetti psicosomatici dell’atto di donare sono comunque positivi. Per quanto si possa negarlo, nel profondo siamo così interconnessi che le altrui sofferenze, come peraltro le gioie, sono anche le nostre.
A questo punto, tuttavia, l’indagine sfuma e spiritualità e psicologia diventano un tutt’uno. Una mente chiusa, che erge barricate protettive, che non si dona e quindi riceve ben poco, diventa tesa. La sua energia ristagna e i suoi sparuti rivoli si comportano come i tentacoli di una piovra. Il riposo di una mente chiusa è sempre superficiale. In effetti si rilassa di rado. Ma perché la mente teme di donarsi?
Ora il campo è abbastanza minato. Mollare la presa sembra quasi impossibile. Rimarrebbe solo una sorta di vuoto; e il vuoto una specie di crudele voragine. Che ci sarà mai in quel fondo senza fondo? L’ego se lo pone e l’animo si rattrappisce per distogliersi da quell’idea apparentemente malsana: perché donarsi, esprimersi, rinnovarsi? E se dovessimo cedere, quale sarebbe la nostra nuova identità? Beh, quella di un fiume. Non credi? Un fiume così vitale da sopravvivere persino a se stesso. E’ vero, si vive di ciò che si dona…
Meditazione
Accetta il vuoto interiore, ti accorgerai ben presto che, in effetti, si tratta solo di una realtà che trabocca un’energia così pura da non poterla nemmeno definire. Quel vuoto lo trovi, ad esempio, tra le pause spontanee del tuo stesso respiro, tra inspiro ed espiro e viceversa.