Name: Davide
Subject: quesito
Quesito
Salve, sono un nuovo frequentatore del vostro sito, tra l’altro molto dettagliato e alla portata di tutti i praticanti sia esperti, che neofiti come me. Avrei due quesiti che a me premono e che spero possiate risolvere.
Primo: come faccio a sapere se la mia pratica è meditazione, e non training autogeno?
Secondo: quando, generalmente, ci accorgiamo che la pratica meditativa è corretta e quindi fruttuosa per la nostra mente di norma istintiva e non domata? Grazie anticipatamente, vogliate rispondermi.
Risposta
Davide, è un fatto curioso, con la seconda domanda hai quasi risposto alla prima. Evidentemente hai già un’idea di come dovrebbe essere la meditazione. Invece sulla meditazione si danno, preferibilmente, solo cenni.
La meditazione è un mondo soggettivo tutto da scoprire che spesso restituisce solo risposte contrastanti. Questo succede perché si nutrono aspettative. Infatti, come la maggior parte di questi approcci, ti fornisce esclusivamente ciò che stavi cercando. Quel che prediligi inconsciamente. Ma allora, mi chiedo, bisognerebbe rinunciarvi e andare oltre? E dove poi?
Quindi la meditazione comincia esattamente laddove termina ciò che si crede o si suppone o ci s’illude che sia meditazione. Più esattamente nel momento presente, nell’istante vissuto con attenzione, distensione e/o creatività. Da questo nasce una propensione amorevole, una disponibilità compassionevole … tutta una serie di situazioni distensive che contribuiscono a creare tranquillità interiore. Al contrario, il training autogeno, che comunque è di per sé un approccio valido, cerca semplicemente di ricondizionare e riequilibrare le proprie risposte emotive.
Pertanto, come accorgerci che la nostra pratica è corretta? Pur senza avere la pretesa di essere necessariamente nel giusto, direi quando si trasforma da impegno in gioco. E la sua sfera d’influenza cresce, viepiù, dal semplice gesto iniziale del predisporsi a meditare sino ad espandersi in ogni situazione della vita quotidiana. Dal suo stadio iniziale fino al sentire che la vita stessa è divenuta una lunga e continua meditazione, il risultato spontaneo di un’integrazione tra “ciò che è”, e tutto quello che avremmo voluto essere o divenire.