Ramesh Balsekar, un maestro spirituale indiano che ha insegnato la filosofia dell’Advaita Vedanta, ci parla della meditazione come uno stato di consapevolezza in cui non esistono oggetti, paragoni o giudizi e in cui l’io scompare lasciando spazio alla Realtà Soggettiva. Il messaggio sotteso è – fondamentalmente – il seguente: l’autore invita il lettore a sedere tranquillamente senza scopi, senza obiettivi, senza desiderare nulla, e ad accettare la sofferenza come parte della totalità della manifestazione. Solo così la meditazione può accadere e la Realtà può trovare il meditante. Ramesh Balsekar cita – a tal proposito – Chuang Tzu, un maestro taoista che ha espresso il concetto di conoscenza perfetta degli antichi e Sri Nisargadatta Maharaj, un altro maestro dell’Advaita Vedanta che ha parlato dello scopo della meditazione.
“Chuang Tzu, uno dei più espressivi maestri taoisti, dice: «La conoscenza degli antichi era perfetta, così perfetta che non sapevano dell’esistenza delle cose». Non si può aggiungere niente a questa frase. «Poi seppero dell’esistenza delle cose, ma non facevano distinzioni tra di esse». Non facevano confronti. «Poi fecero distinzioni ma non esprimevano giudizi. Quando iniziarono a esprimere giudizi, il Tao andò perduto».
«La conoscenza degli antichi era perfetta, così perfetta che non sapevano dell’esistenza delle cose». Questa è la conoscenza che abbiamo quando sediamo quietamente, chiudiamo gli occhi e rimaniamo tranquilli senza scopi, senza obiettivi. Il più delle volte accade da sé, e in quei momenti c’è la conoscenza perfetta di cui parla Chuang Tzu. C’è un senso di consapevolezza in cui non esistono oggetti, e non esistendo oggetti non si pone il problema di fare paragoni o giudizi. L’unica cosa esistente in questa pace è un cuore aperto […].
Solo quando la mente è tranquilla, quando non concettualizza, quando non crea immagini e il cuore è aperto e ricettivo, solo allora accade qualcosa: l”io’ scompare e subentra l”Io’, la Realtà Soggettiva. L’unica cosa da fare, quando arriva il momento, è sedere tranquillamente senza scopi, senza obiettivi, senza desiderare niente. […] Non occorre avere un obiettivo, cioè non occorre avere nessuna aspettativa. In quei momenti non sei tu che trovi la Realtà, ma è la Realtà che trova te. […]
Questa meditazione non rafforza l’io? Se è fondata sull’intenzionalità, se c’è un ‘io’ che medita, allora sì, Ma quando la meditazione accade, quando non è perseguita volontariamente, allora è vera meditazione, in cui l”io’ è assente. Non c’è nessun ‘io’ che medita. Se c’è l”io’, c’è l’aspettativa che la meditazione fruttifichi in qualche modo. […]
Non c’è accettato né accettante, ma solo accettare? C’è accettazione. L’accettazione, cioè la comprensione di cui parlo, è accettazione senza un soggetto che accetta, è comprensione senza un soggetto che comprende. Quindi questa accettazione può soltanto prodursi, può soltanto avvenire. Non puoi ottenere l’accettazione, come non puoi ottenere la comprensione.
Penso che si debba accettare la sofferenza. Certo. Proprio perché non la accettiamo, ci poniamo la domanda: «Perché proprio a me?». Ma se vincessi un milione di dollari alla lotteria, non ti verrebbe da chiederti: «Perché proprio io?». L’unica risposta alla domanda: «Perché proprio a me?» è: «Perché no?». Nessun ‘io’ è più speciale degli altri. L’essere umano è una semplice parte della totalità della manifestazione. Più l’accettazione si espande, e più la vita diventa semplice. Il dolore diventa più sopportabile se smettiamo di considerarlo qualcosa da rifiutare, qualcosa a cui mettere fine.”
(Da: La coscienza parla – Ramesh Balsekar)
– Ramesh Balsekar (macrolibrarsi)
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– Ramesh Balsekar – Wikipedia