Sforzo o non sforzo? Ossia, impegnarsi a oltranza concentrati sul risultato o fluire, seppur consapevolmente, con “ciò che è” sino alla realizzazione di quanto stavamo cercando? Nessuno dei due, sembra sostenere Wayne W. Dyer nelle seguenti brevi note; ma leggiamolo direttamente. Suppongo che oltre a dimostrarsi una discreta fonte d’ispirazione riuscirà anche a chiarirci le idee …
«Lo sforzo è una parte del tutto; un’altra parte è l’assenza dello sforzo. Fondete insieme queste dicotomie, e il risultato sarà un’azione spontanea, che si realizzerà senza attaccamento.
È esattamente in questo modo che si danza con qualcuno: vi sforzate di assumere una posizione, ascoltate la musica e al tempo stesso vi lasciate andare, abbandonandovi con scioltezza ai movimenti insieme al partner.
Unite i cosiddetti opposti nell’unità dell’essere senza giudizio o paura. Definire un’azione come «una bella fatica» implica l’idea che sforzarsi molto sia meglio che non compiere alcuno sforzo. Ma l’idea di fatica esiste solo per via delle nostre convinzioni che tendono a farci biasimare l’inoperosità. Raccogliere da terra l’immondizia significa realmente non raccoglierla. Una volta che l’avete fatto, l’esservi sforzati o no non ha importanza. Capite di poter agire senza l’implicito giudizio di parole come fatica e sforzo.
Si può competere senza essere concentrati sul risultato. Eliminare gli opposti paradossalmente li unisce, così da rendere inutile l’identificarsi con una posizione. Immagino che, nel linguaggio di oggi, Lao-Tzu riassumerebbe il secondo capitolo del Tao Te Ching in queste due parole: siate, semplicemente.»