Nel profondo viaggio dell’esplorazione interiore, ci imbattiamo nella questione enigmatica della mente: un’entità sfuggente, priva di forma e sostanza. Questa pagina ci invita a contemplare la natura elusiva della coscienza, dove la mente, in tutta la sua vacuità, trascende le dualità di nascita e morte, di venire e andare. Ci sfida a osservare oltre le apparenze, a riconoscere le illusioni che noi stessi tessiamo intorno alla realtà della nostra esperienza. In questo spazio di pura consapevolezza, scopriamo che la mente non è confinata da condizioni o stati transitori; essa è immutabile, eterna, al di là di ogni concetto e percezione. Questa comprensione ci porta a un risveglio sorprendente, dove la mente si rivela come un cielo senza nuvole, vasto e indisturbato, testimone silenzioso dell’essere.
«La cosiddetta ‘mente’ non può essere identificata come questo o quello. Non è un’entità e non ha caratteristiche distintive. Se la ricercate, non può essere trovata, perché è sin dal principio vuota, priva di un’essenza sostanziale. Vuota, è al di là dell’espressione, non toccata da nascita e morte, venire e andare. Non è creata da nessuna causa e non è neppure distrutta da nessuna condizione. Rimane intatta nel vuoto, priva di aumento e diminuzione, sviluppo e declino, o di qualsiasi tipo di mutazione. […]
Nel linguaggio ordinario diciamo: «Oh, la mia mente è stanca», «La mia mente è triste», «La mia mente è annoiata», oppure: «La mia mente vuole qualcosa da fare». Però dicendo ciò affermiamo: «Ho un’esperienza che mi sembra penetrante e che indica una particolare qualità della mia mente». Ma la mente stessa ha questa qualità? La mente in quanto tale è mai annoiata, stanca o triste?
È chiaro che alcune delle esperienze che sorgono nella nostra mente sembrano essere autoriflessive, sembrano rimandare alla mente stessa. Eppure, quando seguiamo ciò che sorge nella mente, non pare condurci alla mente. E qui dobbiamo stare molto attenti, perché questo è il punto dove facilmente possiamo mentire a noi stessi sulla natura della nostra esperienza. […]
Ciò che scopriamo davvero è quanto siamo bravi a ingannarci, quante bugie ci diciamo sulla natura della nostra esperienza. Riempiamo lo spazio di supposizioni, di ciò che conosciamo, piuttosto che fare il difficile lavoro di mettere da parte le supposizioni e vedere cosa c’è in realtà. Ma quando osserviamo davvero e scopriamo questa vacuità, non c’è nulla a cui i concetti possano aggrapparsi e così si dissolvono, come nuvole nel cielo, che svaniscono da se stesse a tempo e luogo. Nulla può riferirsi a questa vacuità, così la mente stessa va al di là di «nascita e morte, venire e andare», senza cambiare. «Rimane intatta nel vuoto». Non è creata da niente e non è distrutta da alcunché.
Dunque, ciò che abbiamo è questa consapevolezza del presente, perché è chiaro che qui noi ci siamo, c’è una continuità, siamo tutti consapevoli di essere qui. Sebbene colui che è consapevole non possa essere riconosciuto come una sostanza, ha la tendenza a cercare di identificarsi come una sostanza. Tuttavia questa stessa mente non è migliorata da condizioni buone, non è peggiorata da condizioni cattive, non diventa né più grande né più piccola, non è mai stata giovane e non sarà mai vecchia. Quindi è chiaro che quando vi risveglierete a ciò, sarete molto sorpresi.»
(Da: Esserci. Un commento a “Lo specchio del chiaro significato” di James Low. Lo specchio del chiaro significato è un testo dzogchen di Nuden Dorje, della metà del XIX secolo. La tradizione dzogchen è una scuola del buddhismo tibetano che spesso è stata paragonata, per le sue tante affinità, con lo zen.)