Immergersi nel mondo della meditazione zen significa esplorare un universo dove mente e corpo si incontrano in un equilibrio sottile, aprendo le porte a una visione più lucida della realtà. Questa antica disciplina, radicata nella tradizione buddista ma accessibile a chiunque, non è solo uno strumento per alleviare lo stress o favorire il rilassamento mentale, ma un metodo profondo per coltivare l’osservatore interiore. Attraverso pratiche semplici ma efficaci, come il fermarsi a osservare i pensieri senza giudizio, si impara a distaccarsi dai condizionamenti esterni e dalle emozioni invasive, ritrovando gradualmente la propria essenza autentica. Lo zen, inoltre, si rivela affascinante quando si scopre quanto le sue dinamiche risuonino con i principi della scienza moderna: entrambe richiedono un approccio neutrale e distaccato per comprendere ciò che ci circonda. Questo parallelismo tra spiritualità e ricerca scientifica offre spunti preziosi per integrare la meditazione zen nella vita quotidiana, trasformandola in un’alleata silenziosa ma efficace per affrontare le sfide del nostro tempo con chiarezza e serenità.
Meditazione zen e ricerca scientifica – Kostantin Pavlidis
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Ho cominciato quando ero un ragazzo nello studio delle arti marziali, che erano basate sulla filosofia zen buddista; attraverso le tecniche di meditazione zen cercavamo di ripulire la mente dai pensieri e dalle emozioni che potevano alterarla; lo scopo era quello di raggiungere uno stato interiore neutro e improntato alla consapevolezza. Il nostro scopo era quello di trovare un modo per fare esperienza del nostro vero Sé. La meditazione zen diventa una chiave per accedere a quella che possiamo chiamare la consapevolezza universale. In Australia, dove sono nato e cresciuto, molte delle persone occidentali venivano a fare queste meditazioni più che altro per trovare una via di fuga a certi stati di stress o per imparare delle tecniche di rilassamento.
Poi col tempo, nell’approfondimento di certe pratiche, il mio maestro mi aveva fatto comprendere l’importanza dello Zen in sé, di praticare queste meditazioni proprio come uno spazio, uno stato di coscienza nella vita di tutti i giorni. Quando noi, mentre scopiamo la casa o camminiamo per la strada o in ogni momento della vita quotidiana, ci ricordiamo di noi stessi, siamo presenti nello Zen. Lo Zen non è una religione, ma una disciplina, un veicolo per sviluppare l’osservatore interiore, il testimone. E’ ciò che avviene quando, ad esempio, siamo coinvolti in una discussione con qualcuno, quindi siamo identificati con quello che stiamo facendo, e di colpo ci ricordiamo di noi, vediamo noi stessi parlare con la persona di fronte, e cominciamo a sperimentare la comunicazione da un altro livello, dal punto di vista dell’osservatore di ciò che ci sta accadendo in quel momento. Una volta che questo meccanismo è stato appreso, può diventare molto importante per la trasformazione di strutture, di pattern di comportamento inconscio in comportamenti consapevoli. Ad esempio, se ci troviamo in una relazione che ci suscita rabbia, possiamo ricordarci di questa consapevolezza e utilizzare questo osservatore per fermare quello che stiamo facendo e, invece di reagire istintivamente, possiamo vedere quello che accade ed entrare in un altro livello di comportamento.
La base della tecnica zen è molto semplice; il primo passo è fermarsi e rilassarsi il corpo e la mente, il secondo è di osservare i propri pensieri, diventare osservatori di ciò che avviene dentro di noi. Il cammino dello Zen diventa molto importante, anche a livello terapeutico, proprio perché funziona come una sorta di autoanalisi. Di solito la nostra mente è piena di pensieri, di ricordi legati alle relazioni col padre e con la madre. Piano piano, distaccandoci, riusciamo a ritrovare la neutralità rispetto alla nostra vita passata, ritrovare il nostro vero centro che è meno coinvolto in quelli che sono i condizionamenti familiari e della società. Questo per lo Zen è la vera conoscenza. Lo Zen nasce da una matrice buddista, ma non è essenzialmente una religione, non si identifica con il Buddismo, quindi può essere praticato da buddisti, da cristiani o da qualsiasi persona che capisce il significato di questa ricerca. Il senso dell’osservatore, di questa coscienza distaccata, non è un presupposto di qualche determinata religione o via spirituale, ma è un punto essenziale di ogni religione e anche di tutte le scienze. Nella scienza si è sviluppata questa capacità di osservare in maniera neutra e distaccata e questo ha permesso ad essa di diventare così importante; proprio perché è distaccata da ciò che studia lo può studiare con più obiettività. La cosa importante nelle scienze è che è necessario un senso di fede; in passato gli scienziati erano delle persone molto creative che conoscevano anche l’aspetto metafisico. Quando si è in uno spazio di silenzio e di vuoto molte cose vengono a te senza che tu le cerchi, quindi come intuizioni che vengono conosciute e osservate; durante una delle mie meditazioni ho visto come un triangolo in cui si creava un relazione tra scienze, arti e spiritualità, quindi ho iniziato a studiare in questa direzione.
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[Da: “Enciclopedia olistica” di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli]
