Quante volte hai osservato il palinsesto della tua esistenza col cipiglio del ricercatore, ossia di colui che investiga, che indaga alla ricerca di soddisfacenti soluzioni alternative tali da migliorare la qualità complessiva della propria vita e, nello specifico, la salute? Tali, quindi, da sopperire all’handicap cui le conoscenze attuali ti relegano? Lo scopo è tentare di decifrare il codice arcano che ogni difficoltà ti trasmette per bypassare l’alienazione coatta che la natura t’impone. Non si tratta, invero, di risolvere, se non negare, la contingenza, ma di cogliere al volo l’opportunità che la medesima ci offre favorendo un exploit della nostra stessa forza implicita. Ben lungi dal funzionare come banali monadi isolate siamo parti di un tutt’uno che – a seguito di un appropriato insight meditativo – si rivela come l’essenza interattiva dell’insieme, di tutto ciò che esiste …
– Dall’introduzione di “Guarire con la Meditazione. I benefici della pratica contemplativa. Esperti di buddhismo, medici, psicologi e ricercatori a confronto” di A. Fraser. Contributi di Sogyal Rinpoche, Jetsün Khandro Rinpoche, Jon Kabat-Zinn, Clifford Saron, Sara Lazar, Erika Rosenberg, Lucio Bizzini, Ursula Bates, Edel Maex, Cathy Blanc, Frédéric Rosenfeld, Rosamund Oliver –
«Qualche anno fa ho avuto l’occasione di intervistare il maestro buddhista tibetano Yongey Mingyur Rinpoche. Sedeva a gambe incrociate su un’ampia poltrona, con la sua veste monastica rossa, e gli ho domandato di raccontarmi la sua esperienza come cavia per una ricerca scientifica sugli effetti della meditazione. Dopo quella ricerca era stato dichiarato “l’uomo più felice del mondo”, e io ero curioso di capire come, esattamente, questo lama tibetano senza pretese e dalla morbida voce avesse finito per ottenere un titolo tanto altisonante (e che, come potrete immaginare, lui non prendeva particolarmente sul serio).
Mingyur Rinpoche mi raccontò che, nel 2002, era stato invitato all’Università del Wisconsin, a Madison, nel laboratorio del rinomato neuroscienziato Richard Davidson. Otto monaci, ciascuno con un’esperienza tra le diecimila e le cinquantamila ore di meditazione, si sarebbero dovuti cimentare in diverse tipologie di pratiche meditative mentre la loro attività cerebrale sarebbe stata osservata dal dottor Davidson e dai suoi collaboratori con strumentazioni all’avanguardia nel campo delle neuroimmagini, in grado di misurare cosa accadesse esattamente nella testa dei monaci. Mingyur Rinpoche mi disse che lo avevano fatto sdraiare sul carrello di una macchina per fMRI (risonanza magnetica funzionale), che mostrava l’attività cerebrale individuando i cambiamenti nel flusso sanguigno. Dopo avergli immobilizzato la testa, sistemato le cuffie, e ricoperto le vesti con una coperta per proteggerlo dal freddo, lo avevano infilato in quella che lui descriveva come «una grande bara bianca».
Per un altro test gli avevano posto sul capo una rete di 126 elettrodi per rilevare un elettroencefalogramma e misurare i cambiamenti nell’attività elettrica degli strati profondi del cervello.
Quando gli avevano detto di iniziare a meditare, era avvenuto qualcosa di strano. La macchina aveva cominciato a dare problemi. O almeno era stato quello che avevano pensato i ricercatori, perché la strumentazione indicava che la frequenza dei segnali elettrici nel cervello stava aumentando fino a raggiungere livelli allarmanti. Ricalibrata la macchina, avevano riprovato, ma il risultato era stato lo stesso: le oscillazioni della banda gamma erano le più ampie che fossero mai state registrate in un essere umano, se si eccettuano le persone in situazioni estreme, come ad esempio nel corso di una crisi epilettica. Mingyur Rinpoche mi spiegò: «Normalmente, quando il livello delle onde gamma raggiunge un certo punto, significa che l’individuo è completamente pazzo, fuori controllo. Eppure, ottennero questo risultato non solo con me, ma anche con diversi altri meditanti. Quando meditavamo le onde gamma crescevano oltre i livelli normali, e quando smettevamo di meditare diminuivano».
I dati raccolti in Wisconsin dai ricercatori indicavano che questi contemplativi buddhisti, ben lontani dall’essere pazzi, erano in realtà in grado di esercitare un incredibile controllo sulla propria attività cerebrale, generando stati mentali precisi, concentrati, potenti e durevoli. E questo anche in presenza di rumori forti, che la maggior parte di noi avrebbe trovato terribilmente fastidiosi, come le grida di una donna o il pianto lamentoso di un bambino, sparati senza preavviso direttamente nelle orecchie. Per farla breve, la conclusione fu che una lunga pratica meditativa è in grado di cambiare la nostra struttura cerebrale, generando dentro di noi tutta una serie di effetti e tendenze positivi, come migliori livelli di concentrazione, maggiore appagamento e benessere, una migliore capacità di affrontare situazioni difficili e una maggiore predisposizione a provare sentimenti di intensa compassione, che si traducono nella spinta costante ad aiutare il prossimo.
Questi risultati ebbero un grande impatto sull’immaginario collettivo, e foto dei monaci esaminati in laboratorio comparvero sul Time e sul National Geographic. Le immagini sensazionali dei monaci tibetani con la testa piena di elettrodi per l’elettroencefalogramma diventarono un simbolo potente dell’incontro tra l’antica tradizione del buddhismo tibetano e l’innovativa strumentazione per la ricerca della scienza moderna. L’ondata di ricerche che aveva avuto inizio nei primi anni del nuovo millennio nei laboratori di Madison, San Francisco, Berkeley, Princeton, Harvard, Parigi e Zurigo – e i risultati pubblicati in seguito su autorevoli riviste scientifiche peer-reviewed – confermarono la credibilità del campo emergente delle neuroscienze contemplative. Metodi meditativi sviluppati e perfezionati in Oriente nel corso dei secoli resistevano ai meticolosi esami condotti in laboratorio e dimostravano di possedere implicazioni considerevoli per la salute mentale e fisica delle persone in questo nostra società contemporanea. E, cosa ancora più significativa, la scienza dimostrava inoltre che questi benefici effetti erano accessibili a tutti, anche senza bisogno di trascorrere metà della propria vita seduti in meditazione o di abbracciare una qualche particolare religione, fede o ideologia.
(Da: “Guarire con la Meditazione” di Jon Kabat-Zinn, Sogyal Rinpoche, Clifford Saron)
Un congresso pionieristico
È in questo contesto che, nel 2010, scienziati, professionisti della salute e maestri di meditazione si sono riuniti per un congresso pionieristico sul rapporto tra meditazione e salute, che ha fornito i contenuti per questo libro. Nell’arco di due intense giornate sono stati presentati gli ultimi studi medici e scientifici, condivise le prospettive buddhiste sulla meditazione e sulla mente, e proposte testimonianze di prima mano da parte di chi applica quotidianamente la meditazione nel campo della salute. Non sarebbe esagerato affermare che queste persone straordinarie sono state tutte, in modi diversi, dei pionieri nel graduale processo di divulgazione delle pratiche meditative e nel rendere fruibili i loro effetti benefici a una fetta di popolazione sempre più vasta. Le loro relazioni sono diventate i capitoli di questo libro, curato e approfondito dai relatori stessi, e in alcuni casi aggiornato per integrare i risultati di altre ricerche, più recenti.
Il libro rispecchia il congresso stesso: registra il passaggio della meditazione da novità New Age a potente strumento per alleviare la sofferenza, condivide intuizioni profonde sulla meditazione e la mente che provengono dal cuore della tradizione buddhista tibetana, e rivela alcune delle ultime scoperte scientifiche che testimoniano i modi sorprendenti in cui la meditazione può migliorare le condizioni di una vasta fascia di persone.
Quel congresso su Meditazione e Salute fu il terzo di una serie di incontri internazionali su buddhismo e medicina (vedi il sito www.buddhismandmedicine.org) promossi dal maestro buddhista tibetano Sogyal Rinpoche per discutere i nuovi approcci sul trattamento e la cura della sofferenza fisica e mentale. Il primo incontro, nel 2002, era intitolato Physical Pain and Suffering (“Dolore fisico e sofferenza”, N.d.T.), mentre il secondo, nel 2006, si occupava di Depression: Mental Suffering and Healing (“Depressione: sofferenza mentale e guarigione”, N.d.T.). Il forum del 2010 è stato anche il primo grande congresso tenuto in Europa che ha esplorato nel dettaglio i benefici fisici della meditazione, attirando un pubblico di scienziati, medici, infermieri, psicologi, psicoterapeuti e altre figure di professionisti nel campo della salute, come anche molto pubblico generico. A tutti è stata offerta la possibilità di sperimentare diversi tipi di meditazione, sia durante le presentazioni che nel corso di sessioni speciali guidate da istruttori di meditazione.
La conferenza ha avuto luogo in una location piuttosto insolita: un tempio tradizionale tibetano collocato non sulle alte vette dell’Himalaya, ma nella splendida campagna del sud della Francia. Frédéric Rosenfeld, lo psicologo che ha aperto la conferenza con una panoramica su cento anni di storia dei rapporti tra meditazione e salute, disse che era la prima volta che gli capitava di intervenire in una conferenza senza indossare le scarpe! Eppure, non poteva esserci posto più appropriato per una riunione così, tenendo conto che il tempio, non molto tempo prima, era stato inaugurato da uno dei maggiori campioni dell’interazione sempre più fruttuosa, del buddhismo con il mondo contemporaneo: Sua Santità il Dalai Lama.
Prospettive buddhiste
Nel suo ruolo di leader spirituale del Tibet, il Dalai Lama ha incoraggiato gli sforzi pionieristici di alcuni maestri come Sogyal Rinpoche e Jetsùn Khandro Rinpoche (entrambi relatori al congresso) per rendere la sapienza contenuta negli insegnamenti della tradizione buddhista tibetana accessibile e rilevante per il nostro tempo. Sogyal Rinpoche è stato tra i primi maestri tibetani a recarsi in Occidente a insegnare in molti paesi; nel corso degli ultimi quarant’anni, personalmente o attraverso il suo bestseller, Il libro tibetano del vivere e del morire, ha introdotto alla meditazione migliaia di persone. Ha fondato centri di meditazione in tutto il mondo, incluso il tempio di Lerab Ling, in Francia, e ha istituito programmi di studio per condividere l’essenza degli insegnamenti del Buddha con i professionisti della salute, dell’assistenza, e il mondo dell’imprenditoria. Nel primo capitolo di questo libro ci propone una visione della meditazione come strumento chiave per imparare a conoscere, domare e trasformare la mente, liberando il nostro potenziale di guarigione sul piano più profondo.
Come Sogyal Rinpoche, anche Khandro Rinpoche è stata molto brava nel costruire un ponte tra la tradizione buddhista tibetana, che per secoli è rimasta isolata dal resto del pianeta, e il mondo moderno. Cresciuta in una comunità tibetana in esilio, ora è corresponsabile di uno dei più antichi e influenti monasteri tibetani ricostruito nel nord dell’India da suo padre, MindroUing Trichen Rinpoche. La sua padronanza dell’inglese e la scrupolosa conoscenza della cultura occidentale hanno consentito a Khandro Rinpoche di insegnare la meditazione e la filosofia buddhista a persone di ogni provenienza. Nel secondo capitolo, ci sfida ad abbandonare tutti i preconcetti su cosa sia la meditazione; Khandro Rinpoche ci ricorda che la meditazione non ha nulla a che vedere con la spiritualità, ma che è piuttosto un invito a esaminare e smantellare il nostro modo abituale di vedere noi stessi e il mondo che ci circonda: «La cosa più importante è che riusciate a riconoscere il vostro immenso potenziale interiore e le capacità di cui siete dotati, e che dedichiate a ciò un po’ del vostro tempo».
Prove scientifiche
Oltre all’impegno a sostegno di una trasmissione autentica dei valori della tradizione buddhista e della sua salvaguardia, il Dalai Lama ha fatto propria anche la missione dell’incontro tra buddhismo e scienza, salute, istruzione. Molte delle ricerche sulla meditazione che compaiono in questo libro non sarebbero avvenute senza il suo incoraggiamento, i legami personali e la rete di contatti che ha saputo creare tra gli scienziati coinvolti. La passione che quel bambino di Lhasa, capitale del Tibet, coltivava per il funzionamento degli orologi, dei proiettori e delle automobili è diventata, nel confronto con scienziati come David Bohm, Cari Von Weizsàcker, Karl Popper e Francisco Varela, qualcosa di molto più serio. Ed egli ha saputo mettere a tacere lo scetticismo dei critici che pensavano che le due forme di ricerca
- una contemplativa e soggettiva, l’altra scientifica ed empirica
- fossero fondamentalmente incompatibili, e che ogni tentativo di collaborazione sarebbe stato un’inutile perdita di tempo.
A partire dal 1987 il Dalai Lama, sotto l’egida del Mind and Life Institute, ha presieduto incontri annuali con importanti psicologi, scienziati e filosofi. E stato durante uno di questi incontri nella sua casa di Dharamsala, in India, che nel 2000 ha preso il via il carosello di ricerche che avrebbe coinvolto Mingyur Rinpoche e gli altri monaci. «Tutte queste discussioni sono molto interessanti» aveva detto il Dalai Lama in quell’occasione. «Ma come possiamo contribuire veramente a migliorare la società nella quale viviamo?» La sfida era chiara. Più gli scienziati sarebbero stati in grado di analizzare, valutare e divulgare gli effetti positivi della meditazione, maggiori possibilità avrebbe avuto questa di aiutare effettivamente le persone.
È dunque cresciuto il numero delle ricerche intraprese, e le relative relazioni sono state pubblicate a ritmi sempre più incalzanti. Come racconta Frédéric Rosenfeld nel capitolo 3, la collaborazione tra meditazione, scienza e medicina ha fatto molta strada da quando, negli anni Venti del Novecento, in India sono stati fatti i primi tentativi di ricerca sulle persone che praticavano yoga. Nel 2007, in Colorado, ha preso il via il maggiore studio finora svolto sulla meditazione. Il Progetto Shamatha è un’avventura multimilionaria che coinvolge sessanta meditanti laici, una squadra di ricercatori selezionati in tutto il mondo, e alcuni dei macchinari scientifici e dei sistemi di valutazione psicologica più sofisticati che esistano. Nel capitolo 4, lo scienziato che ne è alla guida, Clifford Saron, presenta un’affascinante panoramica del progetto Shamatha e un’analisi accurata dei risultati finora raggiunti.
Ricercatrici come Erika Rosenberg e Sara Lazar appartengono a una nuova generazione di scienziati che ha scelto di dedicare la propria carriera allo studio degli effetti della meditazione sul cervello e sulle emozioni. Nel capitolo 5, la Rosenberg illustra il funzionamento delle emozioni da un punto di vista scientifico. Chiarisce le ragioni della grande influenza che esse esercitano sulla nostra vita e spiega come la meditazione possa aiutarci a intervenire in ogni fase del processo emozionale e con quali vantaggi per la nostra salute mentale e fisica. Nel capitolo 6, la Lazar presenta alcune delle ricerche più recenti che ha condotto sugli effetti della meditazione sul cervello. Usando uno scanner MRI (risonanza magnetica per immagini), è riuscita a dimostrare che la meditazione può causare cambiamenti strutturali in parti del cervello collegate all’elaborazione delle emozioni, oltre che una riduzione delle dimensioni del “centro della paura”.
La seconda parte del libro ne riflette l’intento primario: analizzare, valutare e divulgare gli effetti positivi della meditazione. Gli scienziati sono di gran lunga troppo professionali per trarre conclusioni affrettate sulle implicazioni del loro lavoro, e sostengono che molti di questi campi di indagine hanno ancora bisogno di ulteriori approfondimenti, e che i risultati ottenuti devono essere replicati. Un curatore, però, può essere più spavaldo, perciò cercherò di riassumere alcune delle scoperte chiave di questi studi. Starà poi a voi decidere se e quando avrò esagerato, potendo leggere di prima mano le parole degli scienziati in questione.
La meditazione aumenta il nostro benessere, l’attenzione, l’empatia, la resilienza e la capacità di gestire le emozioni. E riduce la depressione, l’ansia e gli stati nevrotici. Più precisamente:
- la meditazione riduce l’attività dell’amigdala, una zona del cervello associata alla paura e all’ansia; di conseguenza l’amigdala rimpicciolisce;
- protegge la corteccia cerebrale dagli effetti dell’invecchiamento e può aumentare la produzione di telomerasi, un enzima che riveste un ruolo cruciale nel proteggere le cellule dall’invecchiamento precoce e che è stato collegato alla longevità;
- aumenta la capacità di svolgere compiti che richiedono di percepire piccole differenze visive e di mantenere la concentrazione per lunghi periodi di tempo;
- aumenta l’attività di alcune zone del cervello che sono state collegate alla depressione, a disturbi da ansia, alla schizofrenia e ai disturbi bipolari;
- nei meditanti che hanno mostrato livelli elevati di attenzione sono stati riscontrati anche livelli minori di cortisolo, ormone collegato allo stress con effetti negativi sulla salute fisica;
- la meditazione causa cambiamenti strutturali nelle regioni del cervello importanti per la regolazione delle emozioni, dell’empatia e delle dinamiche autoreferenziali. Chi medita assiduamente mostra un coinvolgimento e un’empatia maggiori davanti alle sofferenze altrui.
Meditazione e assistenza sanitaria
Se non se ne potesse fare un uso pratico al di fuori dei confini del laboratorio, la ricerca scientifica sarebbe solo un hobby affascinante e dispendioso. È significativo, perciò, che negli ultimi anni diverse importanti università degli Stati Uniti abbiano deciso di aprire degli istituti con lo scopo specifico di analizzare come la meditazione e le pratiche finalizzate a coltivare la compassione possano essere applicate nel mondo esterno, il che è particolarmente rilevante in campi che richiedono un alto livello di intelligenza emotiva, come quello dell’educazione e dell’assistenza socio-sanitaria, oltre al campo della leadership nelle imprese.
Uno degli esempi più straordinari di questo dilagare della meditazione in applicazioni correnti è stato il successo della Mindfulness come metodo applicativo, il quale ha umilmente preso il via nei sotterranei della Medical School dell’università del Massachusetts. Era il 1979, e Jon Kabat-Zinn, un giovane ricercatore in biologia molecolare che si dedicava anche alla pratica meditativa, si era convinto che le tecniche di base della meditazione potessero essere d’aiuto per tutte quelle persone che stavano “cadendo nelle falle del sistema sanitario”. Presentando pochi e basilari metodi di meditazione in un modo semplice, strutturato e laico, Kabat-Zinn sviluppò un protocollo di otto settimane che chiamò Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSRy. Convinse alcuni medici a inviargli pazienti che avessero risposto male ai trattamenti convenzionali e, siccome iniziò a ottenere risultati, i pazienti continuarono ad arrivare. Ma anche se i suoi pazienti gli dicevano che il protocollo funzionava, la formazione di biologo molecolare gli aveva insegnato l’importanza di un approccio basato sulle prove scientifiche. Promosse perciò una serie di studi pionieristici sugli effetti benefici della meditazione per la salute, in particolare nel trattamento del dolore cronico, dello stress e degli stati d’ansia: nel capitolo 7, potete leggere il suo resoconto dettagliato di queste esperienze.
Facciamo un balzo in avanti di tre decenni: ogni anno milioni di dollari vengono spesi in ricerche sulle applicazioni cliniche della mindfulness, sovvenzionate soprattutto dai National Institutes of Health. I programmi basati sulla Mindfulness sono sbocciati ovunque nel mondo, come la la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), che ha riscontrato un notevole successo nel trattamento della depressione ricorrente. Kabat-Zinn ha introdotto la meditazione presso i malati di cancro, i tossicodipendenti, i carcerati, gli avvocati, gli imprenditori, i veterani di guerra, giusto per citare alcune categorie. Una volta ho sentito un professore di psicologia osservare: «Se queste tecniche fossero una pillola avrebbero dato vita a un giro d’affari di milioni di dollari».
Cominciando proprio con Jon Kabat-Zinn, nella terza e quarta parte del libro ascolteremo le voci di alcuni professionisti della salute provenienti da Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Irlanda, Svizzera e Belgio, la cui esperienza personale li ha spinti a introdurre la meditazione o la pratica della Mindfulness nel proprio lavoro, e a condividerla coi propri pazienti. Lungo la strada, molti di loro hanno vissuto momenti difficili: dalle notti insonni di Kabat-Zinn prima di presentare il suo protocollo Mindfulness-Based Stress Reduction al Dalai Lama, allo scetticismo che ha accolto Rosamund Oliver quando si è presentata a insegnare la meditazione al personale di una delle più famose prigioni di Londra. Per tutti loro, la risposta vincente è stata quella di presentare i vantaggi della meditazione con un linguaggio semplice e diretto, e di sostenere le proprie affermazioni citando ricerche pubblicate. Spesso hanno preferito persino evitare, almeno in un primo momento, di ricorrere alla parola meditazione, con tutto il bagaglio culturale e religioso che si porta dietro. Le loro storie ci mostrano un quadro vivido delle sfide che questo impegno rivoluzionario presenta, e delle soddisfazioni che può portare quando le persone incontrano la meditazione per la prima volta.
Lo psichiatra Edel Maex comincia il capitolo 8 con una meditazione guidata. L’attenzione, spiega, riguarda il modo in cui ci relazioniamo con i nostri pensieri, sensazioni ed emozioni. Quando troviamo “una via di mezzo” tra reprimerli o lasciare che ci trascinino via, guarire diventa possibile. Questo è molto importante soprattutto per chi soffre di depressione, quando i pensieri negativi possono prendere il sopravvento e turbinare incontrollati. Nel capitolo 9, Lucio Bizzini illustra nel dettaglio la terapia cognitiva basata sull’attenzione (Mindfulness-Based Cognitive Therapy), un protocollo sviluppato soprattutto come trattamento per la depressione. Per completare la parte sull’attenzione, Ursula Bates descrive le delicate dinamiche del lavoro con pazienti in cura palliativa in un hospice irlandese. Come spiega nel capitolo 10, molti dei suoi pazienti incontrano la pratica dell’attenzione, la mindfulness, nel momento in cui sono più vulnerabili, fisicamente ed emotivamente. Cimentarsi con questa pratica proprio nelle ultime settimane o negli ultimi mesi che restano da vivere può produrre conseguenze estremamente profonde e potenti.
Accompagnamento spirituale
Oltre ai programmi basati sulla mindfulness, esistono diverse altre iniziative che si propongono di condividere l’esperienza della meditazione con persone provenienti da tutte le culture. Rosamund Oliver e Cathy Blanc hanno svolto un’attività pionieristica in quello che ora è conosciuto come il campo dell’ “accompagnamento spirituale”, chiamato a volte “accompagnamento contemplativo”. Con la guida e il supporto di Sogyal Rinpoche, che le ha introdotte alla meditazione, hanno entrambe sviluppato metodi per condividere alcune pratiche specifiche della tradizione buddhista tibetana con persone che si occupano di assistenza ai malati o che rivestono posizioni di responsabilità, come medici e personale infermieristico. Le pressioni alle quali costoro sono sottoposti possono spesso metterli a dura prova, e condurre a un logoramento o “fatica da compassione”, e al burn out, ossia l’esaurimento nervoso professionale. Nel capitolo 11, Cathy Blanc descrive come sia riuscita nel difficile compito di introdurre questi metodi negli ospedali e nelle cliniche francesi, dove la separazione tra Chiesa e Stato è severamente rispettata. Nell’ultimo capitolo, Rosamund Oliver racconta dettagliatamente i suoi sforzi per insegnare la meditazione in istituzioni come carceri e hospices, dove, nonostante le sue stesse riserve iniziali, ha trovato del personale estremamente ricettivo all’apprendimento della meditazione.
Una volta simbolo di controcultura, il termine “meditazione” è ora una parola d’uso comune che compare spesso nel linguaggio dei media, è usata dall’industria pubblicitaria per promuovere qualsiasi genere di prodotto o di stile di vita ed è praticata nelle sue diverse forme – spirituali e laiche – da milioni di persone.
Se chiedete a coloro che hanno contribuito a questo libro dove credono che ci condurrà tutto questo, vi descriveranno un futuro non troppo lontano nel quale la meditazione sarà praticata nelle scuole, negli ospedali, nelle case per anziani, negli hospices, negli uffici, nelle carceri e nelle case di tutto il mondo, e non nel nome di una qualche particolare religione o di un sistema di credenze, ma semplicemente perché fa bene. Per parafrasare Khandro Rinpoche, se verrà il giorno in cui tutti ce ne andremo in giro con il cervello pervaso da livelli anormalmente elevati di onde gamma, come se stessimo partecipando a un concorso per La Persona Più Felice del Mondo, di sicuro anche lo stesso Buddha, proprio quello che ha tirato in ballo la meditazione 2500 anni fa, ne sarà molto felice.»
(Andy Fraser – Gennaio 2013)
Andy Fraser vive a Londra e nutre uno spiccato interesse per la meditazione e il buddhismo. Laureato a Cambridge, ha proseguito la sua formazione come giornalista e ha lavorato per la BBC, dove si è occupato degli eventi sportivi più importanti, come le Olimpiadi di Atene nel 2004. Dal 2002 pratica il buddhismo tibetano, e frequenta con regolarità i ritiri organizzati a Lerab Ling, il luogo dove si è svolto il Congresso su Meditazione e Salute. Scrittore prolifico, Fraser è anche curatore di View, The Rigpa Journal, rivista annuale su meditazione e buddhismo tibetano fondata nel 2008.