Nel profondo viaggio della consapevolezza, Thich Nhat Hanh ci guida attraverso i meandri della mente e i vincoli che, di fatto, ci bloccano o, per lo meno, ci ostacolano. Con saggezza e chiarezza, l’autore sottolinea come i rituali, se non compresi e vissuti con autenticità, possono diventare catene anziché chiavi per la libertà interiore. Attraverso la pratica costante di meditazione e consapevolezza, Hanh ci invita a sciogliere i nodi dei preconcetti e a riscoprire la vera essenza dell’esistenza, liberi da ogni attaccamento. Questo passaggio è un invito a riflettere sulla natura dei nostri atti spirituali e sull’influenza rigenerante di un’autentica connessione con il divino che risiede in noi e nell’universo.
«La nostra sofferenza deriva principalmente dalla nostra mente e da come vediamo il mondo.
Nella tradizione buddhista parliamo dei dieci tipi di vincoli, samyojana, che ci legano e ci privano della libertà.
La parola sanscrita samyojana si può tradurre come «nodi» e tali vincoli sono come nodi stretti dentro di noi. Ci spingono a fare e dire cose che non vogliamo fare né dire. Sono molto potenti. La nostra consapevolezza, concentrazione e saggezza devono essere anch’esse potenti per scioglierli.
Il decimo vincolo (la quinta visione): attaccamento a riti e rituali
Quando sei convinto che eseguendo un particolare rito o rituale potrai assaporare liberazione e salvezza, sei prigioniero di riti e rituali.
Magari credi di poter mangiare ogni tipo di carne tranne quella di manzo, e che mangiare la carne di manzo impedirà la tua salvezza. Oppure pensi di poter mangiare ogni tipo di carne tranne quella di maiale.
Questo è il genere di tabù o precetto di cui puoi finire prigioniero. Con la comprensione puoi liberare te stesso. Non è eseguendo rituali e cerimonie e osservando tabù che puoi ottenere la liberazione. Non esiste un’unica azione o rituale in grado di donartela.
La liberazione richiede una pratica continua, una dedizione continua a consapevolezza, concentrazione e saggezza.
Per illustrare questo vincolo uso talvolta l’esempio di qualcuno che si inchina al Buddha sull’altare. La retta pratica dell’inchinarsi è una sorta di meditazione, un modo di guardare a fondo. Ecco perché prima di inchinarti al Buddha dovresti sapere che il Buddha è dentro di te e tu sei dentro il Buddha.
Entrambi avete la natura del vuoto. Questo è un modo di guardare in profondità che ha il potere di liberarci. Se non lo facciamo, e crediamo che inchinarsi al Buddha sia un atto di devozione che contribuirà alla nostra salvezza, siamo prigionieri di rituali.
Celebrare il rito dell’eucaristia è la stessa cosa. Il sacerdote spezza il pane e te lo offre, e ti offre il vino da bere. Se, quando mangi il pane e bevi il vino, sei in contatto con il mondo intero, non sei prigioniero del rituale, perché nel pezzo di pane vedi che la luce del sole, le nuvole, la terra e ogni cosa nel mondo si trovano nel pane. Quando il sacerdote celebra l’eucaristia vuole che tu sia vivo e in contatto con Gesù Cristo come una realtà dentro di te.
Celebrare il rito automaticamente significa esserne prigioniero. A quel punto non otteniamo nulla a parte il rituale. L’autentica comunione è possibile quando sei davvero vivo mentre prendi parte al rituale. Quello è ciò che desideri, non la mera esibizione di una forma vuota.
La stessa cosa vale in ogni tradizione.
La meditazione camminata o la meditazione seduta possono essere un semplice rituale. Salmodiare un canto può essere un semplice rituale. Finiamo molto facilmente prigionieri dei rituali, e questo è uno dei vincoli che dobbiamo spezzare. Se pratichiamo in maniera sentita, non limitandoci a seguire la pratica meccanica, la pratica della consapevolezza e della saggezza ci libererà, e riti e rituali diverranno uno strumento e un’opportunità di fare pratica.»
(Da: Le quattro verità dell’esistenza – Thich Nhat Hanh)
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– Thich Nhat Hanh (macrolibrarsi)
– Thich Nhat Hanh su wikipedia
– EsserePace.org – Thich Nhat Hanh