“Sì, ritorneranno … dagli apici delle più straordinarie vette giammai persino concepibili, agli abissi dei più profondi fondali, così bui che nessuna immaginazione riuscirebbe finanche a descriverli; alle immense e rigogliose pianure onde la vita fioriva come se nulla fosse, come se il soffio sidereo non avesse appena spazzato quelle antiche quanto preziose regioni galattiche …”.
Bene, che accadde? Le riflessioni della rana zen si susseguivano a iosa ed erano così prolifiche che ogni pensiero ne generava altri mille. Ma a soffrirne per cotanta profusione era, purtroppo, la disciplina astrale cui il maestro l’aveva sottoposta.
“Una cosa è certa”, si disse la rana, “la meditazione metaforica non fa per me”.
Oddio, delle rane, cos’è questa nuova? L’ultima trovata che imperversa tra la sterminata moltitudine del popolo verde-azzurro? Ma no, è solo la prassi più in auge nel “Tempio dei loti bianchi”, una routine desunta dalle remote origini ancestrali degli avi più diretti, quelli terrestri, ossia “meditare in silenzio”.
Sennonché la rana, pur intenta a sollazzarsi tra mille e uno improbi proponimenti, rammentò il dubbio dei dubbi, il quesito per eccellenza proposto agli adepti d’ogni tempo, razza o religione: cosa viene prima, il silenzio o la meditazione? E voi terrestri, che ne dite?