“Maestro, di grazia, la mia medicina”, chiese, alquanto prostrata, la rana all’esimio.
Il maestro venerabile che seguiva dappresso le sue molteplici giravolte meditative la scrutò costernato. “Dimmi l’ultima, cara. Raccontami del tuo ennesimo disagio”, sospirò mentre accarezzava il nodoso bastone che adoperava … per non inciampare al buio negli angusti e contorti corridoi del “Tempio senza nome”. Non è che non avesse pietà, che non fosse compassionevole, ma se non avesse diretto con polso quella mezza masnada di aspiranti semi-Buddha, ben presto si sarebbe ritrovato nel caos.
“Maestro, temo per la mia vita”, tagliò corto la rana, “sono ansiosa per la mia salute, per ciò che mi potrebbe accadere”, ribadì titubante.
“Quali sono i tuoi sintomi?”, s’informò l’austero discepolo della stirpe dei Buddha terrestri.
A questo punto la rana farfugliò. Eh già, un conto è lamentarsi sul vago, ben altro descrivere i dettagli.
Tuttavia il maestro incalzò: “Il tuo respiro non è fluido e a volte, a lungo andare, il tuo cuore ne risente. Come se non bastasse, il tuo umore fa le bizze. Sei stata dal medico?”
“Sì, signore, sto seguendo le sue cure.”
“Bene figliola, Ed ecco la mia medicina: non lamentarti più, né con gli amici, né coi parenti; quando ne avverti l’impulso taci; un conto è il rapporto con il tuo dottore, ben altro interloquire con chiunque ti capiti a tiro per piangerti addosso.”
“Ma, maestro”, accennò la rana …”.
E voi, cosa credete che accadde?
p.s.: la storia non finisce qui … figuriamoci!
n.b.: queste storie, anche se traslate e adattate a un nuovo contesto, sono accadute davvero.