Il primo libro che lessi sulla spiritualità di matrice orientale fu “Autobiografia di uno Yogi” di Paramahansa Yogananda. Ne seguirono così tanti, da quelli sullo zen ai maestri più recenti, che non saprei enumerarli. In seguito conobbi talune di quelle realtà dal vivo. Infine mi resi conto che la dimensione spirituale è esclusivamente soggettiva. Ciò che riscontriamo nella società sono solo i riflessi, le proiezioni del proprio modo d’intendere la vita, della qualità di consapevolezza raggiunta, nonché di una certa predisposizione innata a prediligere l’essenza. Quindi lessi per apprendere, ma solo fin quando non smisi d’interpretare, attribuire, dedurre. Fin quando non compresi che il vero libro – il libro per eccellenza – è la vita medesima.
Leggere
Leggere, leggere di continuo, all’infinito
per apprendere … l’inapprendibile.
Leggere per tenersi impegnati e fingere
di essere spirituali, compassionevoli,
per illudersi d’aver attraversato la valle, raggiunto l’apice
e sentirsi, almeno un po’, meritevoli.
Leggere per non pensare
mentre invece i pensieri
si accumulano senza sosta.
Leggere – assorbir di tutto sulla meditazione –
per non meditare mai.
Leggere … con leggerezza
per dimenticare il vero scopo della vita,
la gratuità di ciascuna esistenza.