La vita è respiro, senza respiro non c’è vita. Tuttavia l’élan vital non è nell’aria che fluttua al tuo interno o all’esterno secondo i ritmi che la natura ti consente. Il cosiddetto prana è nella consapevolezza con cui osservi quel benedetto flusso ondivago. È nella consapevolezza con cui cammini e persino ti rilassi. In ultima analisi è nel processo stesso di autoconsapevolezza.
In queste brevi riflessioni non scendo mai nei particolari, negli insegnamenti pratici, ossia nelle tecniche. Mi limito a riportare ciò che ebbi la fortuna di ascoltare dal mio primo maestro, un insigne estimatore dello zen. Se non lo menziono espressamente è solo dietro sua richiesta. Di fatto egli riteneva che il culto della personalità – nello specifico un’illustre eminenza religiosa – sia quanto di più fuorviante, deleterio e pernicioso, possa accadere a un viandante della via di mezzo, come peraltro di qualunque cammino spirituale.
Finanche la venerazione del Buddha – se non di altri “messaggeri” latori di luce siano mai apparsi sulla terra – può occultare, di riflesso, l’egocentrismo implicito nella natura umana. Sovente, quando il proprio focus converge in maniera pressoché esclusiva su di una personalità esterna che osanniamo o adoriamo, quella si trasforma in un vero e proprio alterego, un’ideale dietro cui dissimuliamo il nucleo di noi stessi – tutto ciò che in effetti vorremmo divenire – trascurando, quindi, la pratica vera e propria.
Vi sembra che abbia divagato dal tema iniziale? No, perché il processo di consapevolezza della propria autentica e originale identità è come il respiro dell’universo, un’energia che alterna apparenze e circostanze in un processo circolare la cui fine coincide sempre col suo medesimo inizio.