La meditazione OM è un viaggio verso il cuore dell’essere, un’esplorazione del suono primordiale che risuona sia nel macrocosmo che nel microcosmo. Questo mantra sacro, considerato la vibrazione stessa del Brahman (la realtà suprema), è anche la voce dell’atman, l’essenza divina dentro di noi. Attraverso l’ascolto interiore, possiamo entrare in sintonia con questa vibrazione universale, che alcuni paragonano all’eco del big bang o al soffio creatore delle antiche mitologie.
Praticare la meditazione OM richiede un’attenzione profonda e una sospensione dei rumori mentali. Chiudendo i sensi esterni e immergendosi in uno stato di deprivazione sensoriale, si può percepire il rombo interno, il suono della vita che scorre dentro di noi. Questo esercizio non è solo un ascolto fisico, ma un’esperienza simbolica che conduce al silenzio mentale, alla non-mente, dove l’ego si dissolve e l’essenza emerge.
La pratica non si limita alla ripetizione del mantra, ma si estende al silenzio che lo precede e lo segue, preparando il meditante a stati di trascendenza. Come un arciere che scocca una freccia verso il bersaglio, l’OM ci guida verso il Brahman, l’unione con il divino. Attraverso questa meditazione, possiamo purificare la mente, affinare la sensibilità e riscoprire una gioia limpida, integrando questa consapevolezza nella vita quotidiana. Scopri come l’OM può trasformare la tua pratica meditativa in un’esperienza di connessione profonda con l’universo e con te stesso.
«La voce flebile dell’atman, il messaggio proveniente dal fondo dell’essere, viene da sempre espresso nella tradizione indiana dal mantra OM. «Questa sillaba è il Brahman,» dice per esempio la Katha-upanisad «è la realtà suprema; chi la conosce, otterrà tutto ciò che desidera: questo è il miglior rifugio.» Dunque, qui la meditazione OM si esprime essenzialmente attraverso la metafora dell’ascolto: occorre udire il suono primordiale, la voce del Brahman, l’eco della creazione, che è anche la vibrazione intima di ogni essere e, naturalmente, dell’atman.
Per mezzo dell’ascolto di questo suono sacro si entra in sintonia con il divino fuori e dentro di noi. Gli scienziati moderni parlano dell’eco della primitiva esplosione del big-bang, ancora oggi udibile con i radiotelescopi. Secondo la mitologia indù — e anche quella ebraica — Brahman (Dio) avrebbe creato il mondo facendo vibrare determinati suoni, espressi dai mantra (le sillabe del sanscrito… o dell’ebraico); ma il più importante resta l’OM.
In base alla corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo, grazie alla coincidenza fra Brahman e atman, tale primitiva vibrazione è ancora udibile all’interno del nostro corpo. «Se ci turiamo le orecchie con i pollici,» dice la Maitry-upanisad «si ode un suono che proviene dallo spazio e che giace all’interno del cuore». E l’OM, che viene variamente paragonato al rombo di un fiume, al rintocco di una campana, al rumore di una ruota di carro, al rimbombo della parola in un luogo chiuso, al fragore della pioggia e ad altri suoni. L’esercizio viene svolto in questo modo: turati gli orecchi con i pollici, si chiudono gli occhi con gli indici, le narici con i medi e le labbra fra gli anulari e i mignoli.
Approdiamo cosi a una condizione di deprivazione sensoriale, in cui meglio si può udire un rombo o un ronzio interno — il rumore del sangue che scorre, il battito del cuore, il suono della vita — che viene espresso dalla meditazione OM, il pranava, il mantra fondamentale.
L’ascolto di questo suono naturale provoca una forma di assorbimento nello spazio interiore che coincide con lo spazio cosmico, alle radici dell’essere, alle radici del Verbo. Troviamo così un segno o una manifestazione della Forza primordiale che è insieme materiale e spirituale.
Qui siamo però anche nel campo dei simboli e delle metafore: si parla del suono OM per riferirsi alla meditazione in quanto ascolto e silenzio mentale. Per udire l’OM, la voce del Brahman-atman, dobbiamo in realtà far tacere ogni altro «rumore» mentale: ecco il perché della deprivazione sensoriale. Si deve rimanere — come dice il Dhammapada — «silenziosi come un gong spezzato».
È dalla sospensione delle attività mentali che nasce la possibilità di ascoltare l’OM. Dunque questo suono esprime simbolicamente lo stato d’animo meditativo, cui corrisponde la percezione dell’essere. In linguaggio zen, tale silenzio mentale si chiama «non-mente» (v. più avanti).
Il meditante deve quindi diventare più ricettivo, più sensibile, più consapevole, e rendersi conto che questo rombo di fondo è sempre presente; tuttavia, come il ticchettio di una sveglia in una stanza, è udibile solo quando egli altri suoni si placano. La meditazione diviene allora un allenamento all’ascolto. E, se per ascoltare meglio, si deve da una parte far tacere ogni altro disturbo, dall’altra parte bisogna esercitare l’orecchio, come fa un direttore d’orchestra, per distinguere fra i vari suoni quello che ci interessa.
Come si vede, la meditazione cerca il silenzio delle facoltà mentali non per ottenere un’insulsa vacuità, ma per ripulire, per purificare, per rendere più sensibile la psiche. Chi rimanga a lungo in silenzio, in questo volontario digiuno mentale, percepisce più chiaramente la vibrazione che sale dal fondo dell’essere. Nello stesso tempo, diventa più attento a ciò che gli accade, internamente ed esternamente.
Sarà a questo punto che il senso dell’essere, il senso del benessere, emergerà nettamente e potrà essere reintegrato nella vita di tutti i giorni.
L’acuita sensibilità ci permetterà una sensazione di limpida gioia, proprio come quando ci si alza ben riposati al mattino, pieni di energie e contemporaneamente con la mente fresca. In questa condizione meditativa, siamo in grado di percepire con grande nitidezza ogni suono e, in particolare, il richiamo dell’atman. Ma non bisogna farsi fuorviare dalle metafore: quello che ci si offre ora non è una voce divina, non è un suono mistico (Sabda, il logos), bensì il silenzio anteriore e posteriore a esso, ossia quel non-suono (a-sabda) che coincide con lo stato di non-mente. Solo così «colui che medita sull’essere supremo, ossia sulla sillaba OM, raggiunge lo splendore del sole… dove contempla lo spirito più elevato che abita nel cuore dell’uomo» (Prasna-upanisad).
Per mezzo della meditazione prima sull’OM e poi sul silenzio che lo circonda, ci prepariamo ad avvicinarci a stati di trascendenza. Come dice la Mundaka-upanisad, «la sillaba OM è l’arco, l’atman è la freccia e il Brahman è il bersaglio».
Diversa è la pratica di ripetere a voce alta il mantra OM: la «m» con cui termina questa sillaba (e con cui finiscono tanti mantra sanscriti) risuona in particolare nella gabbia toracica, alla base della gola e nella testa, attivanti alcuni chakra importanti e generando un senso di pace interiore. Anche in questo caso, comunque, è bene che la meditazione si prolunghi nel silenzio mentale che precede e segue la vibrazione sonora.»
[ Da: Claudio Lamparelli, “Manuale di meditazione: Tecniche orientali di sviluppo mentale“ ]