Cos’è la meditazione se non un coraggioso tentativo di emanciparsi tramite l’esercizio mentale? Gli obiettivi più salienti della ricerca spirituale sono, soprattutto, realizzazione, felicità e pace. Anche se l’intento più immediato è il qui e ora senza tempo, la via sarà sempre quella di superare il labirinto inconscio con il ricorso pragmatico alla disciplina. Senza rifiutare nulla di se stessi, ma illuminando con la luce della consapevolezza anche i lati meno palesi della propria coscienza, procederemo con sollecitudine verso la meta, l’essenza. Sia dunque il respiro la nostra guida, il nostro filo di Arianna […]
«Mi si dice che in pali, la lingua originale di Budda, non esiste una sola parola corrispondente a «meditazione» anche se si può dire che la meditazione si è evoluta a livelli straordinari nell’antica cultura indiana.
Un termine frequentemente usato è bhavana, ossia «sviluppo tramite l’esercizio mentale».
Mi sembra particolarmente azzeccato, perché, in realtà, la meditazione riguarda lo sviluppo umano. È l’estensione naturale di funzioni quali la dentizione, sviluppare un corpo adulto, lavorare ed essere produttivi, formare una famiglia, essere debitore in un modo o nell’altro (anche verso se stessi in seguito di compromessi che imprigionano l’anima) e rendersi conto che tutti invecchiamo e moriamo.
Prima o poi si è praticamente costretti a sedere e a contemplare la propria vita, mettere in discussione se stessi e chiedersi qual è il significato del percorso della vita… la nostra vita.
Le vecchie fiabe, ci dicono i loro interpreti moderni – Bruno Bettelheim, Robert Bly, Joseph Campbell e Clarissa Pinkola Estes – sono antiche mappe che propongono una guida per lo sviluppo di esseri umani completi.
La saggezza di questi racconti è stata tramandata fino a oggi, ancor prima che venissero scritti, essendo stati diffusi nelle sere trascorse attorno ai fuochi per migliaia di anni. Sono divertenti e interessanti di per sé, perché in gran parte emblematici delle contraddizioni che incontriamo ricercando realizzazione, felicità e pace. [ … ]
Queste fiabe ci ricordano che vale la pena di porsi alla ricerca dell’ara su cui le nostre fila esistenziali frammentate e isolate potranno ritrovarsi e intrecciarsi, portando nuovi livelli di armonia e comprensione nelle nostre vite, al punto da cui potremo vivere felicemente per sempre, ovvero nel qui e ora senza tempo. [ … ]
Un tema ricorrente nelle fiabe è quello del bambino, solitamente un principino o una principessina, che perde il suo gomitolo d’oro.
Noi stessi, maschi o femmine, vecchi o giovani, incorporiamo sia il principe sia la principessa (fra innumerevoli altri personaggi) e vi è stato un tempo in cui ciascuno di noi irradiava l’aurea innocenza e l’illimitata promessa della gioventù.
E potremo emanare ancora quell’aura, o recuperarla, se sapremo impedire che il nostro sviluppo si arresti.
Bly precisa che fra la perdita del gomitolo d’oro, che sembra avvenga verso gli otto anni, e il momento in cui si tenta di recuperarlo o di riconoscerne la perdita possono trascorrere trenta o quarant’anni, mentre nelle fiabe, dove la misura del tempo è il «c’era una volta», concetto che non tiene conto della normale cronologia, bastano solo un giorno o due.
Ma in entrambi i casi occorre prima venire a patti con le nostre stesse energie occulte represse, simbolizzate da una rana o forse da in irsuto uomo selvatico che vive nella foresta sotto uno stagno.
Prima di scendere a patti, però, si deve conoscere la presenza di quegli esseri: principe e principessa, rana, uomo o donna dei boschi. Confrontarsi con quegli aspetti della nostra psiche, da cui ci si ritrae relegandoli nel subconscio, è una premessa indispensabile. Questo può essere terrificante e instillare la sensazione di scendere in antri oscuri, ignoti e misteriosi.
La forma di buddismo radicatasi e fiorita nel Tibet dall’ottavo secolo a oggi ha forse sviluppato l’espressione artistica più raffinata di questi aspetti terrificanti della psiche umana. Molte statue e dipinti tibetani rappresentano grottesche figure demoniache, appartenenti di diritto al pantheon delle divinità locali; teniamo presente che non si tratta di divinità nel senso corrente del termine, bensì della rappresentazione di stati mentali diversi, ciascuno con una sua distinta energia divina che deve essere affrontata, onorata e utilizzata per far crescere e sviluppare il proprio potenziale di esseri umani realizzati, uomini e donne indifferentemente.
Queste creature minacciose non sono considerate cattive, anche se il loro aspetto, le collane di teschi e le smorfie grottesche sono paurose e repellenti. La terribile apparenza esteriore è in effetti un travestimento adottato dalle divinità che impersonano saggezza e compassione per aiutarci a raggiungere comprensione e gentilezza verso noi stessi e gli altri i quali, è sottinteso, non sono fondamentalmente diversi da noi.
Nel buddismo, lo strumento per compiere questo lavoro di sviluppo interiore è la meditazione.
Anche nelle favole, per arrivare all’uomo che si trova sotto lo stagno occorre togliere l’acqua secchio dopo secchio, un lavoro ripetitivo esteso nel tempo; non vi è nulla di entusiasmante nello svuotare uno stagno, lavorare presso un forno incandescente o nelle vigne battute dal sole, giorno per giorno, anno dopo anno.
Ma un lavoro interiore di questo genere, inteso a prendere coscienza della propria psiche è di per sé un’iniziazione, un processo di tempratura che di solito implica una sorta di fervore.
Occorre disciplina per tollerare il fervore, per perseverare. Ma il risultato sarà padronanza, perdita dell’ingenuità, raggiungimento di un ordine interiore che non si può ottenere senza la disciplina, il fervore, la discesa nella parte più oscura di noi stessi e la paura. Persino le sconfitte spirituali che subiremo serviranno a temprarci.
Gli junghiani lo definiscono lavoro dell’animo, lo sviluppo della profondità di carattere grazie alla conoscenza dei tortuosi labirinti della nostra mente.
Il fervore tempra, riordinando anche le minime componenti della nostra essenza psichica e, con molta probabilità, anche i nostri corpi.
Il vantaggio del lavoro meditativo è la possibilità di applicarlo alla pratica stessa affinché ci guidi attraverso il labirinto. Esso ci mantiene sulla retta via anche nei momenti più oscuri, ci rende capaci di affrontare i nostri stati mentali più tremendi e le più terribili circostanze esterne.
Ci rammenta le nostre possibilità di scelta, è una guida allo sviluppo umano, una carta stradale per arrivare alla nostra essenza più radiosa, non al tesoro di un’innocenza infantile ormai trascorsa ma a quella di un adulto completamente realizzato.
Ma se la meditazione deve funzionare, noi dobbiamo essere disposti a collaborare, ad affrontare quando occorre il buio e la disperazione, ripetutamente se necessario, senza sfuggirli o neutralizzandoli nei mille modi che sappiamo inventare per evitare l’inevitabile.
PROVA: apritevi al principino e alla principessina, al re e alla regina, al gigante e alla strega, all’uomo e alla donna delle foreste, allo gnomo e alla vecchina, al guerriero, al guaritore e al truffatore che alberga dentro di voi. Quando meditate, tendete lo stuoino di benvenuto per tutti loro. Cercate di sedere come un re, una regina, un guerriero o un saggio. Nei momenti di grande subbuglio o di oscurità utilizzate il vostro respiro come il filo che vi guiderà lungo il labirinto. Mantenete viva la consapevolezza anche nei momenti più bui, ricordandovi che essa non fa parte dell’oscurità e della sofferenza; la consapevolezza placa il dolore e lo conosce, per questo deve essere fondamentale per voi e legata a quanto di più salubre, forte e prezioso è dentro di voi.»
(Da: Dovunque tu vada, ci sei già. Una guida alla meditazione – Jon Kabat-Zinn)
– Jon Kabat-Zinn – Macrolibrarsi
– Jon Kabat-Zinn – Amazon
– Jon Kabat-Zinn – Wikipedia
– Mindfulness – Wikipedia