A proposito della “Giornata mondiale dei poveri” di recente istituzione e celebrata per la prima volta Domenica 19 Novembre 2017; qualche riflessione in prospettiva spirituale sull’oltraggioso fenomeno dell’indigenza.
E Gesù disse loro: … se fate l’elemosina farete male al vostro spirito …
Uno dei luoghi comuni più iniqui che mi sia mai capitato d’ascoltare è l’idea che per risanare una situazione di povertà sia necessaria la cosiddetta “carità sociale”. Nulla di più falso. Mi spiace che a sostenerlo siano proprio i soliti “esponenti religiosi”.
La carità sociale, termine già di per sé decisamente umiliante, è quanto di peggio si possa auspicare. La carità è l’anticamera dell’assistenzialismo. Un sostegno esclusivamente temporaneo, irrilevante e da evitare. Semmai, ciò che serve davvero è più onestà, legiferare in modo equilibrato. Onestà significa attenersi alle norme vigenti? Anche se gli escamotage per aggirare statuti, normative e regolamenti sono all’ordine del giorno, sarebbe senz’altro utile operare scelte legislative limpide, cristalline, capaci d’impedire i funesti, arcinoti, interessi corporativi, nonché tutti i privilegi che sventuratamente ne derivano.
Di recente mi è sembrato d’assistere – per l’ennesima volta – ad una serie di messaggi concertati e preordinati in merito alla povertà. Ma sono finiti i tempi in cui si riusciva a far breccia nei cuori della gente con questi finti metodi. Vi propongo un’interpretazione alternativa.
E Gesù disse loro: … se fate l’elemosina farete male al vostro spirito … (Vangelo di Tommaso). Vi sembra assurdo? Cerchiamo di comprenderne il significato. Gesù suggerisce che così come siamo è impossibile fare qualcosa di giusto. Quindi ci s’illude di operare l’elemosina, ma chi è davvero colui che elargisce questo genere di miserabile obolo peloso? Si tratta di bontà d’animo, oppure è l’ego? Gesù dice che questa sorta d’offerta è profondamente ipocrita. Bontà d’animo significa sentire la povertà dell’altro. Sentirsi responsabili della sua condizione. Riconoscere di appartenere ad una società che crea mendicanti, famiglie disagiate. Ammettere di essere conniventi con un establishment che si basa sullo sfruttamento. Comprendere che i “poveri” ne sono solo delle vittime. Quindi sentire il dovere di adoperarsi per lenire quella sofferenza, risolvere quella contingenza intervenendo sui nodi strutturali che causano siffatti disastri. Allora la carità accadrà per bontà. Ma forse … non ce ne sarà più bisogno.