“Maestro, che ne pensi dei miei ultimi progressi, delle mie più recenti performances meditative?”, chiese, umilmente, la rana allo straordinario demolitore di sogni effimeri che incarnava – in quel frangente storico – la guida morale del Tempio.
“Ho fatto di tutto per evitare di proiettare me stessa. Ho tentato, in ogni modo, di essere obiettiva sperando di suscitare compassione, apportare benefici, trasmettere speranza. Che ne dici?”, proseguì imperterrita la rana zen rivolta, ancora, al più equanime tra i precettori possibili.
“Certo, la mia condotta non è stata sempre esemplare. Da una parte sono attratta dal bello, dall’armonia, dall’altra mi rendo conto di non essere particolarmente equilibrata perché il mio stato d’animo m’induce a considerare perfetto e appropriato tutto ciò che incontro. In altri termini, la realtà mi sembra magnifica così com’è. Allora mi siedo, l’osservo, cerco un difetto, ma l’insieme rifulge come non mai. Te ne prego, ti chiedo, come uscirne?”, insisté ancora la rana che ora, tuttavia, cominciava a dar segni di una sottile irrequietezza.
“Quando mi ritrovai, per la prima volta, al tuo cospetto e ti rivolsi la mia prima domanda, sorridesti perché il quesito non nasceva da un’esperienza di vita vissuta o, se preferisci, diretta, ma solo dagli interminabili giochi – rielaborazioni – dell’ego. Ora, però, che ne ho fatta di strada, perché non mi degni più?”, tentò di sollecitarlo, ulteriormente, la rana oramai quasi irritata.
“Apprezzare la vita così com’è non significa assecondarla, beduina!”, le urlò di rimando il maestro del tutto divertito. “Se vedi un ladro – riprese il sant’uomo – rimettilo, innanzitutto, in riga. Poi, apprezzalo e dedica il tuo bel gesto all’infinito”, concluse.